sabato 25 aprile 2009
La liberazione
La lotta di liberazione della Basilicata si riassume nell'insurrezione della città di Matera avvenuta il 21 settembre 1943. Per ritorsione contro gli insorti i tedeschi fanno saltare in aria 21 ostaggi nella caserma in cui erano reclusi, ma il popolo si arma, continua a combattere e tiene la piazza fino all'arrivo delle truppe canadesi. In questo modo la gente lucana ripaga il nemico che pochi giorni prima, il 18 settembre, aveva massacrato - senza motivo - 15 ostaggi di Rionero in Vulture. Nella terra di Lavoro, dove erano attivi tra i braccianti del PCI, la resistenza contro i nazi-fascisti ha circa 500 caduti.
invece qui un tratto di storia...
mercoledì 22 aprile 2009
BASILICATA PIANO ENERGETICO. IL FOTOVOLTAICO /5
PIANO ENERGETICO. IL FOTOVOLTAICO /5 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
22/04/2009 16.32.14 [Basilicata] | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
(AGR) - Gli impianti fotovoltaici sono classificati di “microgenerazione” se soddisfano una delle seguenti condizioni: |
BASILICATA PIANO ENERGETICO. L’EOLICO /4
PIANO ENERGETICO. L’EOLICO /4 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
22/04/2009 16.30.25 [Basilicata] | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
(AGR) - In queste aree non è consentita la realizzazione di impianti eolici di macrogenerazione. |
BASILICATA PIANO ENERGETICO. LA STRATEGIA: NO AL NUCLEARE /3
Il rapporto congiunto IAEA – NEA (2008) stima che le risorse di uranio “ragionevolmente sicure” ammontano a 3,3 milioni di tonnellate. Se aggiungiamo a queste le “risorse stimate” si arriva a 5,5 milioni di tonnellate. Considerando che il consumo attuale di uranio per far funzionare le 439 centrali nucleari è di circa 70 mila tonnellate anno, possiamo stimare un utilizzo per almeno 50 – 80 anni ancora.Ca..o finalmente lo hanno capito!!!
In questa situazione di scarsità della risorsa uranio nel mondo, una nazione legata all’utilizzo dell’uranio avrebbe seri problemi di dipendenza energetica.
La produzione di energia nucleare, oltre a non risolvere alcune importanti questioni aperte in particolare sulla sicurezza, genererebbe uno “sviluppo distorto” del territorio regionale.
PIANO ENERGETICO. LA STRATEGIA: NO AL NUCLEARE /3 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
22/04/2009 16.29.02 [Scorie nucleari a Scanzano] | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
(AGR) - In generale, le finalità del PIEAR sono quelle di garantire un adeguato supporto alle esigenze di sviluppo economico e sociale attraverso una razionalizzazione dell’intero comparto energetico ed una gestione sostenibile delle risorse territoriali. |
BASILICATA APPROVATO DALLA GIUNTA IL PIANO ENERGETICO REGIONALE /1
22/04/2009 16.25.37
[Basilicata]
(AGR) - Nel corso di una conferenza stampa, il Presidente Vito De Filippo e la Giunta Regionale hanno illustrato il Piano di Indirizzo Energetico Ambientale, approvato oggi dall’Esecutivo. Il Piano contiene la strategia energetica della Regione Basilicata da attuarsi fino al 2020. L’intera programmazione ruota intorno a quattro macro-obiettivi: riduzione dei consumi e della bolletta energetica; incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; incremento dell’energia termica da fonti rinnovabili; creazione di un distretto energetico in Val d’Agri. (SEGUE)
PIANO ENERGETICO. GLI OBIETTIVI /2 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
22/04/2009 16.27.17 [Basilicata] | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
(AGR) - L’intera programmazione relativa al comparto energetico, delineata dal PIEAR ruota intorno a quattro macro-obiettivi: |
Piano energetico regionale della Basilicata
Da notare le seguenti frasi:
De Filippo si è quindi soffermato sul nucleare e sul petrolio. “Con questo piano – ha detto il presidente della Regione – chiudiamo definitivamente la porta alla produzione di energia attraverso impianti nucleari”ok ok ok!poi:
il Piear, in relazione alle fonti rinnovabili impone una scelta di qualità. Ad esempio, per gli impianti eolici è prevista, fino al 2020, una produzione massima di energia di 981 Mwe e potranno essere istallati solo in zone non sensibili dal punto di vista ambientale, paesaggistico e culturale.ok ok ok! addirittura meglio dell'ANEV che stimava il potenziale lucano in 760MW!!!!
aspetto di leggere meglio il documento....
DE FILIPPO: CON IL PIEAR SOSTEGNO A IMPRESE E FAMIGLIE | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
22/04/2009 17.59.05 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
(AGR) - “Dare un impulso allo sviluppo economico e produttivo del territorio e ridurre la spesa per l’energia delle famiglie lucane sono i principali obiettivi del Piear, il Piano di indirizzo energetico ambientale”. Lo ha detto il presidente della Regione, Vito De Filippo, nel corso di una conferenza stampa svoltasi oggi alla presenza della Giunta regionale. Ai giornalisti il presidente De Filippo ha illustrato i contenuti del documento approvato dall’esecutivo nella seduta odierna. |
I sottopassaggi di Santa Maria e Rione Mancusi (comune di Potenza)
Potenza, un piano per rione Mancusi |
P OT E N Z A - Far passare la metropolitana, nella speranza di ridurre il traffico quando i cittadini impareranno ad usarla e lasciare l’auto a casa, o far circolare liberamente le auto, per evitare le lunghe code strombazzanti che si creano quando passa il «trenino»? Il dilemma a Potenza si è posto da subito quando si è deciso di utilizzare la rete ferrata delle Ferrovie Appulo Lucane anche per gli spostamenti interni alla città. Quei passaggi di treni aumentati (soprattutto in fase sperimentale) producevano lo spiacevole «effetto collaterale» di bloccare le auto ai passaggi a livello, tanto che la «fese definitiva » della metropolitana (un po’ per la mancanza di viaggiatori, un po’ per limitare questi disagi) ha previsto una riduzione del numero delle corse. Un gruppo di progettisti, tuttavia, si è armato di buona volontà e in modo totalmente autonomo ha lavorato per individuare un piano di sottopassi (del costo stimato di circa 2 milioni e 200mila euro) che consenta l’eliminazione dei passaggi a livello con la conseguente possibilità di effettuare quante corse si vuole senza interferire con la circolazione delle auto. Il piano, presentato l’altra sera al Circolo Angilla Vecchia di Enzo Fierro è stato realizzato dai tecnici della «3DLi- Fe» gli ingegneri Emanuele Festa, Lucio Lisanti e Antonio Sarricchio e si concentra in particolare sulla viabilità dei quartieri Mancusi-Risorgimento ed in particolare degli snodi viari di Via Roma, Via Angilla Vecchia e Via Calabria, dove, all’altezza delle intersezioni asfalto-binari, ipotizza la realizzazione, a ppunto di sottopassi. «Tra tutte le possibili soluzioni - spiegano i progettisti - quella dei sottopassi è sicuramente quella con il minore impatto sia dal punto di vista ambientale ma soprattutto dal punto di vista della fattibilità economica». Sarebbe invece impensabile spostare il tracciato o realizzare l’interramento della linea metropolitana. g.riv. |
martedì 7 aprile 2009
Il riscaldamento elettrico della casa
Il riscaldamento elettrico della casa
di Luigi Ruffini (*)
copio e incollo prima che uno dei migliori post che ho letto quest'anno sparisca di nuovo.L'originale è sul sito di ASPO Italia
Per esporre i sistemi elettrici bisogna che prima venga prima analizzato il sistema classico, onde poter evidenziare i limiti di questo e le potenzialità dei sistemi descritti di seguito.
I sistemi di riscaldamento tradizionali sono realizzati principalmente usando il principio della convezione. Il sistema è composto da una caldaia che brucia generalmente a gas metano ad una temperatura intorno ai 1500 gradi centigradi. L’acqua a questo punto raggiunge una temperatura che, generalmente, si attesta sui 70 gradi. Da qui la pompa della caldaia spinge il liquido caldo verso il collettore (o i collettori nel caso di impianto a più zone), da dove vengono distribuite a stella le tubazioni di andata e ritorno sui vari ambienti.
A questo punto nei locali si possono ottenere due soluzioni classiche: termosifoni (ghisa o acciaio) o termoconvettori. Questi ultimi generalmente vengono adottati in caso di ambienti grandi, quindi difficilmente scaldabili se non con molti termosifoni tradizionali, che però “tappezzerebbero” letteralmente le pareti con risultati estetici non molto graditi.
I termoconvettori sono dotati di ventole che accellerano il ricambo d’aria fredda con quella calda, a prezzo di una temperatura in uscita però maggiore, intorno agli 80 gradi.
In entrambi i casi l’aria a questo punto diventa il veicolo che ci consente di percepire il caldo. Un termosifone non raggiunge quasi mai i 70 gradi. Tra l’uscita della caldaia e il collettore già si ha una forte dispersione (che ricordo è sempre maggiore in relazione diretta con la temperatura, quindi maggiore è la temperatura di un corpo, maggiore è la sua capacità dispersiva), che aumenta con la distribuzione successiva verso i radiatori.
Il termosifone nel migliore dei casi non raggiunge i 60 gradi, per scaldare l’aria che, però, essendo ora più leggera, tenderà a salire verso la parte alta delle stanze.
Insomma si scalda prima il soffitto, poi, man mano che l’aria fredda scande, si scalda a sua volta e risale, creando appunto il movimento convettivo.
Gli ambienti hanno sempre punti più freddi o più caldi, e non sono mai confortevoli in modo uniforme; spesso sono troppo caldi e si ha l’impressione di non riuscire a respirare bene. Anche parzializzando l’accensione dell’impianto non si ha granchè di risparmio.
A parità di temperatura con 15 mc al giorno su 130 mq, scaldandone (chiudendo circuiti per un equivalente del 50% della metratura) il consumo per metro cubo si riduce al 70% del precedente, poco meno di 10mc al giorno. Il perché è semplice: gran parte del consumo si ha semplicemente perché “la caldaia è accesa”, ed il circuito, fino al collettore, disperde parte dell’energia termica.
Su questi sistemi si è detto di tutto e di più: che creano circolazione di polvere, che sono nocivi per chi soffre di asma e allergie, che sono poco efficienti (1500 gradi in combustione per avere si e no 19 gradi ambiente in effetti…), rimane la cruda realtà che tutt’ora sono di gran lunga i più usati. E non certo per motivi di costo.
Occorre anche analizzare la tipologia di installazione e di uso di questi sistemi. Come si sa, programmare l’accensione a singhiozzo durante la giornata e la serata forse può permettere di risparmiare sulla bolletta, ma crea tutta una serie di conseguenze raramente vengono analizzate con cura. Proverò a dare qualche esempio.
Inanzitutto la muratura (principalmente quella perimetrale) di una stanza scarsamente riscaldata essendo composta da laterizio e cemento, tenderà a raffreddarsi. Con l’accensione del riscaldamento inizialmente si comporterà “come una spugna” assorbendo il calore dall’aria, che circolerà fredda. La frase “sento l’aria fredda” dentro le case ormai è un classico. Tutti pensano alle finestre, ma se sono in buone condizioni il problema è derivato dal moto convettivo. Quindi per tempi che vanno dai pochi minuti a qualche ora con il gas si scaldano i muri, ed intanto si battono i denti…Nella case vecchie a pietra questo succede praticamente sempre. Le pietre fanno da ponte termico “assorbendo” il calore ed il contenuto del portafogli del proprietario. In questo caso almeno, si recupera d’estate con la frescura (derivata dall’accumulo enorme di umidità durante il periodo invernale). Per il resto sono solo dolori.
C’è poi il problerma della condensa. Essendo la formazione di questa direttamente legata alla temperatura è ovvio che con un continuo saliscendi di questa si avrà formazione di condensa su muri e finestre. Particolarmente gradita la relativa formazione di muffa sopra gli infissi, che le signore si ostinano ad asportare con la varechina, che a sua volta però rovina la pittura….e la pazienza dei mariti che durante le vacanze devono provvedere…..
Il tutto ovviamente pagando bollette in vertiginoso aumento. E stando al fresco.
Negli ultimi 20 anni, progressivamente, si sono inseriti i sistemi sottopavimento. Qui ci sono altre considerazioni da fare:
In un’abitazione questi sistemi sono di gran lunga i più confortevoli. Abbinati ad una caldaia a condensazione lavorano a bassa temperatura e devono essere tenuti accesi sempre, 24 su 24, dall’autunno alla primavera.
C’è anche chi per risparmiare tende a tenere le serpentine larghe (quindi con meno tubo) ma questo comporta un aumento della temperatura in caldaia con esponenziale aumento dei costi di gestione. Le serpentine devono essere quanto più strette possibile, in modo che la scarsa superficie dei tubi riesca a scaldare più agevolmente il massetto.
Questi sistemi hanno alcuni inconvenienti: costano di più nell’installazione, in gestione (costano meno a pari ore di funzionamento, ma lavorano più ore, e di conseguenza…), tendono a creare depositi calcarei nelle tubazioni, nonostante gli additivi forniti dalle aziende produttrici. In caso di settimana bianca conviene tenere l’impianto acceso, in quanto al ritorno passerebbe una giornata intera prima che la casa si sia riscaldata e l’energia dispersa per questa operazione sarebbe quasi equivamente a quella risparmiata
nella settimana di spegnimento. Questi sistemi generalmente non creano una convezione tale da impensierire per polveri, pollini ed acari.
Economicamente sia i sistemi di riscaldamento a pavimento che a termosifone vengono quantificati in € a mq, però in questo costo non sono mai inclusi atri costi di installazione che però sono pesanti, e precisamente:
Caldaia, canne fumarie, impianto gas, impianto scarico per caldaia, impianto elettrico per allacciamento, punti termostato, punti elettrovalvole.
Questi costi finiscono per far raddoppiare il preventivo. Ci sono poi bollettini annuali della provincia, abbonamento per il controlo fumi, e, dulcis in fundo, se si rovina una guarnizione della caldaia (€0,1) si ferma tutto.
Generalmente succede il Sabato pomeriggio…..
Il tutto sperando che Russia ed Ucraina si accordino (poi tra 20 anni amen, ma quest’ultimo concetto lo conosciamo bene, l’abbiamo sempre fatto!).
Tra le varie opportunità che ci offrono le nuove tecnologie a parere dello scrivente quella più promettente è certamente derivata dallo sviluppo dei sistemi elettrici.
C’è prima però da fare un distinzione tra i vari modi di riscaldare elettricamente, altrimenti si rischia di fare una certa confusione.
E’ opportuno non prendere neppure in considerazione le classiche stufette, quelle di varia forma e colore, che consumano energia a più non posso. Per scaldare un’ ambiente di 15 mq con 2000Watts si fa fatica. E neppure la gran parte delle Pompe di Calore (di seguito PDC), le quali, pur essendo concettualmente validissime, hanno evidenti limiti, che esporrò brevemente.
Inanzitutto lo scambio di calore è efficace sino ad una certa temperatura esterna, e precisamente intorno ai 5 – 7 gradi centigradi, ustata come riferimento per riportare i consumi elettrici. Sotto questa temperatura, (parliamo sempre di riscaldamento) nell’unità interna si attiva una banalissima resistenza elettrica (camuffata con il nome di “integrazione”) che consuma come le comuni stufette citate in precedenza, con costi di gestione superiori ai sistemi a GPL.
In assenza di questa resistenza gli ambienti sono sempre freddi.
Con le PDC con serpentina interrata o in un serbatoio di acqua la resa migliora drasticamente, in quanto il calore è facilmente recuperabile con pochissima energia. Le limitazioni di questa soluzione sono però dovute all’impossibilità di realizzazione nel caso di assenza di aree prediposte all’alloggiamento della serpentina.
Ma i nuovi (si fa per dire, girano da 10 anni…) sistemi sono decisamente più performanti: si tratta di pannelli o membrane con elementi conduttori che, all’attraversare della corrente, per effetto Joule, si scaldano in modo uniforme e, senza l’uso di ventilatori, irradiano il calore in modo diretto sotto forma di raggi infrarossi (ricordo che tutti i corpi caldi emettono infrarosso).
L’irraggiamento avviene in modo lineare, quindi non devono esserci ostacoli davanti ai pannelli (per le guaine è diverso perché scaldano il massetto, e solo indirettamente l’ambiente). Questi hanno misure di varia grandezza per consentuire un’alloggiamento praticamente ovunque.
L’emissione in IR consente di avere un consistente effetto deumidificatore. Nei bagni e cucine anche dopo aver fatto la doccia o scolato la pasta l’umidità sui vetri sparisce in poco tempo (generalmente un’ora) e non si hanno più fenomeni di condensa e muffa.
Ovvio che l’aerazione serve sempre, ma si può fare nelle ore centrali della giornata, quando la temperatura esterna è maggiore.
Nell’immagine è mostrato un pannello da 500W di potenza, di dimensioni 33 x 180 cm.
Grazie alla larghezza contenuta questo modello può essere installato su un pilastro, quindi in posizione centrale di ambienti grandi. Con questo modello è possibile riscaldare tranquillamente un’ambiente di 8 -10mq.
L’irraggiamento di questo modello si percepisce chiaramente da 4 metri di distanza.
I pannelli emettono raggi infrarossi in tutte le direzioni, “saturando” l’ambiente che assume una temperatura uniforme anche in altezza. I termostati possono essere installati a 50 cm come a 2 metri ma leggono la medesima temperatura. Per ambienti alti sono eccellenti.
Le signore gradiscono la sensazione di calore alle gambe, che spesso nel gentil sesso sono fredde, proprio grazie alla “saturazione” degli ambienti.
Questa tecnologia non scalda l’aria. L’effetto è quello del Sole in una giornata invernale. L’aria è fredda ma al Sole si sta bene. Il nostro corpo con l’aria calda ha malessere (vedi l’estate); è del calore da irraggiamento che abbiamo bisogno, non dell’aria calda.
Sono due cose diverse.
Senza scaldare l’aria la dispersione degli ambienti crolla drasticamente. Stanze mal coibentate possono arrivare a ridurre i consumi oltre il 50%. Qualcuno dice anche più (basti pensare ai capannoni industriali, negozi ed uffici con grosse vetrate, Chiese).
Esistono anche versioni più rifinite. Ad esempio quello mostrato nella figura sotto è uno scaldasalviette che uso regolarmente nel mio bagno. Potenza 300W, con termostato incluso. Mi asciuga l’ambiente e riscalda efficacemente fino a 6 mq.
Un’ulteriore funzione di questi scaldasalviette è data dalla possibilità di programmare lo spegnimento in 30,60,90 e 120 minuti, così che, in caso di necessità, è possibile asciugare (anche biancheria, specie l’intimo) e spegnersi successivamente senza sprechi di energia elettrica.
Sono eccellenti come integrazione ai sistemi sottopavimento, che spesso sono sottodimensionati nei bagni a causa dell’impronta di vasche e docce che diminuiscono la superficie radiante, proprio nel locale che più necessita di calore.
Quando nevica ho notato che questo modello mi permette di evitare l’apertura della finestra a seguito di più docce consecutive, riuscendo a deumidificare l’ambiente completamente in poco più di due ore.
In aggiunta ai modelli esterni ci sono le membrane sottopavimento. Queste sono veramente un prodotto eccellente. Robustissime, pratiche e sottili. Il modello esposto è riferito al mio campionario portabile. La guaina è lunga 10 metri e copre circa il 50% della superficie. Una volta alimentata (tensioni tra 5 e 20V) riesce a riscaldare facilmente 5 mq di ambiente. In realtà questo inverno l’ho disposta sopra il pavimento del mio ufficio per farla vedere ad alcuni clienti. Risultato: con il riscaldamento spento ha scaldato fino a Dicembre 2008 ben 10 mq. Il consumo è di 250W/h, verificato con una pinza amperometrica (1,05 Ampere). La potenza, per tutti i modelli, è relazionata alla tensione di rete.
Un altro grande punto a favore di questi sistemi: lo spessore. Occorre contare 2 cm di isolante sotto (polistirene), la guaina (pochi millimetri, diciamo 5), il massetto (anche solo 1,5 cm), ed il pavimento (con la colla 1 cm). Totale 5cm, massimo 5,5.
E’ possibile rifare ex novo l’impianto di riscaldamento esistente semplicemente aggiungendo quello nuovo al vecchio, senza demolizioni. Una cosa impensabile fino a poco tempo fa. La guaina si può anche bucare, torcere, tirare, calpestare. Continua a funzionare anche se si taglia, ma per non più del 75% della sua larghezza.
Il sistema è alimentato da un trasformatore toroidale, reperibile praticamente ovunque, alloggiato all’interno di una cassetta metallica dotata di un robusto coperchio.
La parte elettronica è ridotta all’essenziale e quindi gestisce solo il termostato ed eventuali guaine aggiuntive necessarie solo per ambienti sopra i 20 mq. Il sistema è assolutamente silenzioso.
Personamente preferisco realizzare l’impianto elettrico con linee dirette dal quadro elettrico (che assume a questo punto un’importanza vitale e viene realizzato in metallo con dimensioni anche di 72 moduli DIN) stanza per stanza, sezionate da magnetotermici differenziali per ogni ambiente. Consiglio anche l’uso di cavi schermati, in quanto guaine e pannelli hanno emissioni elettromagnetiche ampiamente sotto i limiti di legge, ed altrettanto è opportuno fare per le linee di alimentazione.
Coin questa soluzione spariscono caldaie, collettori, valvole di zona, canne fumarie, impianti a gas con le relative incombenze annuali quali bollettini alla Provicia ed abbonamenti per la verifica dei fumi. Per non parlare dei rischi (ormai purtroppo metabolizzati) derivati dall’avere in casa un gas esplosivo. Gli incidenti relativi sono ormai all’ordine del giorno.
Il dimensionamento si effettua in base all’ambiente di installazione. Sovradimensionamenti o sottodimensionamenti portano agli stessi effetti dei sistemi tradizionali.
Nel caso dei sottodimensionamenti il sistema, non riuscendo a raggiungere la temperatura impostata sui termostati, tende a rimanere sempre acceso. Il risultato è un costo di impianto inferiore ma consumi più alti uniti ad ambienti freddi.
Nel caso l’impianto venga sovradimensionato il costo di installazione ovviamente aumenta, ma, per contro, i tempi di risposta per il riscaldamento degli ambienti sono molto contenuti.
Ovviamente le tabelle utilizzate per i calcoli termici della legge 10/91 sono solo di riferimento per questi impianti. Occorre procedere con una base di 50W/mq con temperatura di progetto + 1°, e sovradimensionare in base alle condizioni ambientali.
Nel caso dei sottopavimento lo spessore dei massetti gioca un ruolo cruciale: massetti più spessi comportano un tempo di risposta maggiore, bilanciato da un’inerzia termica a circuito spento più lunga (effetto simile ai radiatori in ghisa).
Un massetto più sottile comporta le condizioni opposte: pronta risposta e riscaldamento più veloce, e raffreddamento altrettanto veloce (ma sempre in relazione alla coibentazione degli ambienti).
A parere dello scrivente la seconda ipotesi è da preferirsi, unita a cappotti esterni e vetri multicamera (minimo 3 vetri con Argon), in quanto il peso del massetto incide nel calcolo statico pesantemente, oltre a complicare la vita per l’altezza dei locali ai fini dell’abitabilità.
Contrariamente ai sistemi a gas è possibile prevedere i costi anticipatamente. I kw non sono eleatori come i mc di gas. Se un’abitazione richiede 5 kw/h per il riscaldamento, in una città con temperatura di progetto+1 avrà un consumo annuo intorno ai 6.000 – 6.500kWh annui. Se il kWh costa €0,22 iva inclusa il costo annuo di riscaldamento non supererà i 1400€, notte e giorno per 5 mesi abbondanti.
Questi dati sono stati ricavati dallo scrivente, sulla base delle installazioni effettuate e sono assolutamente affidabili. Essendo impiantista preferisco ragionare con il metodo di S. Tommaso, quindi mi affido poco (anche perché non di mia competenza) a calcoli generici su rendimenti, C.O.P. ecc, e più alla reale resa di ogni componente che installo.
Per questo posso confermare che la potenza di riferimento è 50W/mq, e che un soggiorno male isolato di 36 mq con vetrate con forte dispersione lo scorso inverno si scaldava agevolmente con 2.000W. con temperatura esterna di – 2° e 10 -12 ore di funzionamento giornaliere effettive nei due mesi più freddi e 4 - 5 ore giornaliere negli altri mesi. Il tutto con accensione impianto su tutta la giornata.
Una nota è relativa alla grande versatilità del prodotto: Nel Gennaio 2007 è stato riscaldato l’intero campo di calcio di un notissima squadra TOP di seria A. In rete è disponibile la lettera di apprezzamento della dirigenza della squadra.
Considerazioni:
Inutile dire che usando i sistemi di riscaldamento elettrico i consumi si sposterebbero dal gas all’elettricità. Tuttavia questa si può generare, mentre il gas no. Inoltre i pericoli derivanti dall’elettricità sono enormemente inferiori al gas. Nel periodo di maggior utilizzo vi è una parziale compensazione con l’aumento di produttività dell’idroelettrico (che ormai è attestato oltre il 20% della fabbisogno elettrico nazionale), che ha ancora ampi margini di potenziamento mediante la tecnologia degli impianti ad acqua fluente. Nelle annate nere (come nell’inverno 2006 – 2007, denominato l’anno senza inverno), la produzione idroelettrica ha comunque mantenuto un rispettabile 12% dovuto allo stop anticipato degli impianti, ma quell’anno il fabbisogno per riscaldamento è è stato notevolmente inferiore per lo stesso motivo. Nel mini idro, che lo scrivente ha avuto modo di seguire, il potenziale di sviluppo è largamente superiore alle aspettative.
Nel periodo estivo chi dispone di un impianto fotovoltaico può contribuire a compensare il calo idroelettrico per soddisfare le esigenze di condizionamento, garantendo una continuità della disponibilità elettrica ed accumilando gran parte dei kw necessari nel periodo invernale per riscaldare casa.
L’energia necessaria ad un’abitazione di 100mq medi per una stagione si attesta tra i 6.000 ed i 6.500 kw annui, per coprire i quali occorre un impianto fotovoltaico ben orientato di 4,5 kWp.
La generazione di energia elettrica a livello nazionale o mondiale rimane comunque l’unico obbiettivo imperativo se non si vuol rischiare tra 20 anni una corsa indiscriminata verso pallet o legna (in prossimità del picco del metano) che creereebbe un inquinamento da CO2 consistente, cosa che sta già avvenendo (immaginarsi 60 milioni di italiani che si scaldano a pallet o legna….).
E’ inutile discriminare il carbone e poi scaldarsi con pallet e stufe….
Le soluzioni sono ampie e variegate ma non sono argomento di questa relazione; quotidianamente vengono studiati sistemi per poter mantenere e potenziare la produzione elettrica con dibattiti anche accesi.
Concludo solo sottolineando che i sistemi riscaldanti a basso consumo hanno un potenziale di sviluppo che è enorme, mentre i sistemi a Gas sono ormai giunti al termine, come una macchina da formula 1 vecchia di 4 anni. Inutile spendere ancora tempo per sistemi obsoleti e dal futuro assai limitato. Meglio investire in sistemi più efficaci, sicuri e con un ampio margine di sviluppo.
(*) Luigi Ruffini, residente nel Comune di Bolognano, Via Cona 5, Pescara. Email: luigiruf@tiscalinet.it - Nato a Varese nel 1969, ha vissuto tra Varese, Pesaro, l’Emilia Romagna in generale. Sposato, dal 1997 si è trasferito in provincia di Pescara aprendo l’attività in proprio. Impiantista elettrico dal 1988. Settore civile, operante in Abruzzo, prevalentemente provincie di Pescara e Chieti. Ambito di specializzazione: oltre all’impiantistica tradizionale, sistemi energetici integrati (fotovoltaico – Riscaldamento elettrico). Micro-eolico.
sabato 4 aprile 2009
Le sorprese della scienza
Post dedicato a loro...
Le sorprese della scienza
Avevo ben capito che l’amico Tucci, nell’invitarmi con quelle sue calorose e pressanti lettere a passare l’estate a Milocca, in fondo non desiderava tanto di procurare un piacere a me, quanto a se stesso il gusto di farmi restare a bocca aperta mostrandomi ciò che aveva saputo fare, con molto coraggio, in tanti anni d’infaticabile operosità.
Aveva preso a suo rischio e ventura certi terreni paludosi che ammorbavano quel paese, e ne aveva fatto i campi piú ubertosi di tutto il circondario: un paradiso!
Non mi faceva grazia nelle sue lettere di nessuno dei tanti palpiti che quella bonifica gli era costata e di nessuno dei tanti mezzi escogitati, dei tanti guai che gli erano diluviati, di nessuna delle tante lotte sostenute, lui solo contro Milocca tutta: lotte rusticane e lotte civili.
Per invogliarmi forse maggiormente, nell’ultima lettera mi diceva tra l’altro che aveva preso in moglie una saggia massaja, massaja in tutto: otto figliuoli in otto anni di matrimonio (due a un parto), e un nono per via; che aveva anche la suocera in casa, bravissima donna che gli voler a un mondo di bene, e anche il suocero in casa, perla d’uomo, dotto latinista e mio sviscerato ammiratore. Sicuro. Perché la mia fama di scrittore era volata fino a Milocca, dacché in un giornale s’era letto non so che articolo che parlava di me e d’un mio libro, dove c era un uomo che moriva due volte. Leggendo quell’articolo di giornale, l’amico Tucci s’era ricordato d’un tratto che noi era, amo stati compagni di scuola tant’anni, al Liceo e all’Università, e aveva parlato entusiastica mente del mio straordinario ingegno a suo suocero, il quale subito s’era fatto venire il libro di cui quel giornale parlava.
Ebbene, confesso che proprio quest’ultima notizia fu quella che mi vinse. Non càpita facilmente agli scrittori italiani la fortuna di veder la faccia dabbene d’uno dei tre o quattro acquirenti di qualche loro libro benavventurato. Presi il treno e partii per Milocca.Otto ore buone di ferrovia e cinque di vettura.
Ma piano, con questa vettura! Cent’anni fa, non dico, sarà anche stata non molto vecchia; forse qualche molla, cent’anni fa, doveva averla ancora, anche se tre o quattro razzi delle ruote davanti e cinque o sei di quelle di dietro erano di già attorti di spago così come si vedevano adesso. Cuscini, non ne parliamo! Là, su la tavola nuda; e bisognava sedere in punta in punta, per cansare il rischio che la carne rimanesse presa in qualche fessura, giacché il legno, correndo, sganasciava tutto. Ma piano, con questo correre! Doveva dirlo la bestia. E quella bestia lì non diceva nulla: salutava perfino col muso a camminare. Sì, centomila volle sì, scambio dei piedi, voleva metterci le froge per terra, come ce le metteva, povera decrepita rozza, tanto gli zoccoli sferrati le facevano male. E quel boja di vetturino intanto aveva il coraggio di dire che bisognava saperla guidare, lasciarla andare col suo verso, perché ombrava, ombrava e, a frustarla, ritta gli si levava come una lepre, certe volte quella bestiaccia lì.
E che strada! Non posso dire d’averla proprio veduta bene tutta quanta perché in certi precipizi ridi piuttosto la morte con gli occhi. Ma c erano poi le peltate che me la lasciavano ammirare per tutta un’eternità, tra i cigolii del legno e il soffiai di quella rozza sfiancata, che accorava. Da quanti mai secoli non era stata piú riattata quella strada?
– Il pan delle vetture è il brecciale, – mi spiegò il vetturino. – Se lo mangiano con le ruote. Quando manchi il brecciale, si mangiano la strada.
E se l’erano mangiata bene oh, quella strada! Certi solchi che, a infilarli, non dico, ci s’andava meglio che in un binario, da non muoversene piú però, badiamo! ma, a cascarci dentro per uno spaglio della bestia, si ribaltava com’è vero Dio ed era grazia cavarne sano l’osso del collo
– Ma perché le lasciano così senza pane le vetture a Milocca? – domandai.
– Perché? Perché c’è il progetto, – mi rispose il vetturino.
– Il...?
– Progetto, sissignore. Anzi, tanti progetti, ci sono. C’è chi vuoi portare la via ferrata fino a Milocca, e chi dice il tram e chi l’automobile. Insomma si studia, ecco, per poi riparare come faccia meglio al caso.
– E intanto?
– Intanto io mi privo di comperare un altro legno e un’altra bestia, perché, capirà, se mettono il treno o il tram o l’automobile, posso fischiare.
Arrivai a Milocca a sera chiusa.
Non vidi nulla, perché secondo il calendario doveva esserci la luna, quella sera; la luna non c’era; i lampioni a petrolio non erano stati accesi; e dunque non ci si vedeva neanche a tirar moccoli.
Villa Tucci era a circa mezz’ora dal paese. Ma, o che la rozza veramente non ne potesse piú o che avesse fiutato la rimessa lì vicina, come diceva sacrando il vetturino, il fatto è che non volle piú andare avanti nemmeno d’un passo.
E non seppi darle torto, io.
Dopo cinque ore di compagnia, m’ero quasi quasi medesimato con quella bestia: non avrei voluto piú andare avanti, neanch’io.
Pensavo:
« Chi sa, dopo tant’anni, come ritroverò Merigo Tucci! Già me lo ricordo così in nebbia. Chi sa come si sarà abbrutito a furia di batter la testa contro le dure, stupide realtà quotidiane d’una meschina vita provinciale! Da compagno di scuola, egli mi ammirava; ma ora vuoi essere ammirato lui da me, perché, – buttati via i libri – s’è arricchito; mentr’io, là! potrò farmi giulebbare dal suocero dotto latinista, il quale, figuriamoci! mi farà scontare a sudore di sangue le tre lirette spese per il mio libro. E otto marmocchi poi, e la suocera, Dio immortale, e la nuora buona massaja. E questo paese che Tucci mi ha decantato ricchissimo e che intanto si fa trovare al bujo, dopo quella stradaccia lì e questo legnetto qua per accogliere gli ospiti. Dove son venuto a cacciarmi? »
Mentre mi pascevo comodamente di queste dolci riflessioni, la rozza, piantata lì su i quattro stinchi, si pasceva a sua volta d’una tempesta di frustate, imperturbabilmente. Alla fine il vetturino, stanco morto di quella sua gran fatica, disperato e furibondo, mi propose di andare a piedi.
– È qui vicino. La valigia gliela porto io.
– E andiamo, su! Sgranchiremo le gambe, – dissi io, smontando. – Ma la via è buona, almeno? Con questo bujo...
Lei non tema. Andrò io avanti; lei mi terrà dietro, piano piano, con giudizio.
Fortuna ch’era bujo! Quel ch’occhio non vede, cuore non crede. Quando però il giorno dopo vidi quell’altra strada lì restai basito, non tanto perché c’ero passato, quanto per il pensiero che se Dio misericordioso aveva permesso che non ci lasciassi la pelle, chi sa a quali terribili prove vuoi dire che m’ha predestinato.
Fu così forte l’impressione che mi fece quella strada e poi l’aspetto di quel paese – squallido, nudo in desolato abbandono, come dopo un saccheggio o un orrendo cataclisma; senza vie, senz’acqua, senza luce – che la villa dell’amico mio e l’accoglienza ch’egli mi fece con tutti i suoi e l’ammirazione del suocero e via dicendo mi parvero rose, a confronto.
– Ma come! – dissi al Tucci. – Questo è il paese ricco e felice, tra i piú ricchi e felici del mondo?
E Tucci, socchiudendo gli occhi:
– Questo. E te ne accorgerai.
Mi venne di prenderlo a schiaffi. Perché non s’era mica incretinito quel pezzo d’omaccione là; pareva anzi che l’ingegno naturale, con l’alacrità e l’esperienza della vita, nelle dure lotte contro la terra e gli uomini, gli si fosse ingagliardito e acceso; e gli sfolgorava dagli occhi ridenti, da cui io, sciupato e immalinconito dalle vane brighe della città, roso dalle artificiose assidue cure ìntellettuali, mi sentivo commiserato e deriso a un tempo.
Ma se, ad onta delle mie previsioni, dovevo riconoscer lui, Merigo Tucci, degno veramente d’ammirazione, quel paesettaccio no e poi no, perdio! Ricco? felice?
– Mi canzoni? – gli gridai. – Non avete neanche acqua per bere e per lavarvi la faccia, case da abitare, strade per camminare, luce la sera per vedere dove andate a rompervi il collo, e siete ricchi e felici? Va’ là, ho capito, sai. La solita retorica! La ricchezza e la felicità nella beata ignoranza, è vero? Vuoi dirmi questo?
– No, al contrario, – mi rispose Merigo Tucci, con un sorriso, opponendo studiatamente alla mia stizza altrettanta calma. – Nella scienza, caro mio! La felicità nostra è fondata nella scienza piú occhialuta che abbia mai soccorso la povera, industre umanità. Oh sì, staremmo freschi veramente se fossero ignoranti i nostri amministratori! Tu m insegni. Che salvaguardia può esser piú l’ignoranza in tempi come i nostri? Promettimi che non mi domanderai piú nulla fino a questa sera. Ti farò assistere a una seduta del nostro Consiglio comunale. Appunto questa sera si discuterà una questione di capitalissima importanza: l’illuminazione del paese. Tu avrai dalle cose stesse che vedrai e sentirai la dimostrazione piú chiara e piú convincente di quanto ti ho detto. Intanto, la ricchezza nostra è nelle meravigliose cascate di Chiarenza che ti farò vedere, e nelle terre che sono, grazie a Dio, così fertili, che ci dan tre raccolti all’anno. Ora vedrai; vieni con me.
Passò tutto; mi sobbarcai a tutto; mi sorbii come decottini a digiuno tutti gli spassi e le distrazioni della giornata, col pensiero fisso alla dimostrazione che dovevo avere quella sera al Municipio della ricchezza e della felicità di Milocca.
Tucci, ad esempio, mi fece visitare palmo per palmo i suoi campi? Gli sorrisi. Mi fece una nuova e piú diffusa spiegazione della sua grande impresa lì su i luoghi? Gli sorrisi. E davvero l’impeto delle correnti aveva sgrottato tutte le terre e a lui era toccato asciugare e rialzar le campagne, corredandole della belletta, del grassume prezioso? Sì? davvero? Oh che piacere! Gli sorrisi. Ma far la roba è niente: a governarla ti voglio! E dunque gli ulivi si governano ogni tre anni con tre o quattro corbelli di sugo sostanzioso, pecorino? Sì? davvero? Oh che piacere! E gli sorrisi anche quando in cantina, con un’aria da Carlomagno, mi mostrò quattro lunghe andane di botti, e anche lì mi spiegò come valga piú saper governare il tino che la botte e com’egli facesse piú colorito il vino e come gli accrescesse forza e corpo mescolandovi certe qualità d’uve scelte, spicciolate, ammostate da sè, senza mai erbe, mai foglie di sambuco o di tiglio, mai tannino o gesso o catrarne.
E sorrisi anche quando, piú morto che vivo, rientrai in villa e mi vidi venire incontro la tribú dei marmocchi in processione, i quali, mostrandomi rotti i giocattoli che avevo loro donati la sera avanti, mi domandavano con un lungo, strascicato lamento, uno dopo l’altro, tra lagrime senza fine:
– Peeerché queeesto m’hai portaaato?
– Peeerché queeesto m’hai portaaato?
Carini! carini! carini!
E sorrisi anche al suocero, mio ammiratore, il quale – sissignori – era cieco, cieco da circa dieci anni e del mio libro non conosceva che qualche paginetta che il genero gli aveva potuto leggere di sera, dopo cena. Voleva egli ora che glielo leggessi io, il mio libro? Ma subito! E fu una vera fortuna per lui, che non potesse vedere il mio sorriso, e tutti quelli che gli porsi poi, ogni qualvolta il brav’uomo, ch’era straordinariamente erudito, m’interrompeva nella lettura (oh, quasi a ogni rigo!) per domandarmi con buona grazia se non credessi per avventura che avrei fatto meglio a usare un’altra parola invece di quella che avevo usata, o un’altra frase, o un altro costrutto, perché Daniello Bartoli, sicuro, Daniello Bartoli...
Finalmente arrivò la sera! Ero vivo ancora, non avrei saputo dir come, ma vivo, e potevo avere la famosa dimostrazione che Tucci mi aveva promesso.
Andammo insieme al Municipio, per la seduta del Consiglio comunale.
Era, come la maestra e donna di tutte le case del paese, la piú squallida e la piú scura: una catapecchia grave in uno spiazzo sterposo, con in mezzo un fosco cisternone abbandonato Vi si saliva per una scalaccia buja, intanfata d’umido, stenebrata a malapena da due tisici lumini filanti, di quelli con le spere di latta, appiccati al muro quasi per far vedere come ornati di stucco, no, per dir la verità, non ce ne fossero, ma gromme di muffa, si e tante!
Saliva con noi una moltitudine di gente, attirata dalla discussione di gran momento che doveva svolgersi quella sera: salii a con un contegno, anzi con un cipiglio che doveva per forza meravigliare uno come me, abituato a non veder mai prendere sul serio le sedute d’un Consiglio comunale.
La meraviglia mi era poi accresciuta, dall’aria, dall’aspetto di quella gente, che non mi pareva affatto così sciocca da doversi con tanta facilità contentare d’esser trattata com’era, cioè a modo di cani, dal Municipio.
Tucci fermò per la scala un tozzo omacciotto aggrondato, barbuto, rossigno, che, evidentemente, non voleva esser distratto dai pensieri che lo gonfiavano.
– Zagardi, ti presento l’amico mio...
E disse il mio nome. Quegli si voltò di mala grazia e rispose appena, con un grugnito, alla presentazione. Poi mi domandò a bruciapelo.
– Scusi, com’è illuminata la sua città? – A luce elettrica, – risposi.
E lui, cupo:
– La compiango. Sentirà stasera. Scusi, ho fretta.
E via, a balzi, per il resto della scala.
– Sentirai, – mi ripeté Tucci, stringendomi il braccio. – È formidabile! Eloquenza mordace, irruente. Sentirai!
– – E intanto ha il coraggio di compiangermi?
– Avrà le sue ragioni. Su, su, affrettiamoci, o non troveremo piú posto.
La mastra sala, la Sala del Consiglio, rischiarata da altri lumini a cui quelli della scala avevano ben poco da invidiare, pareva un aula di pretura delle piú sudice e polverose I banchi dei consiglieri e le poltrone di cuojo erano della più venerabile antichità; ma, a considerarli bene nelle loro relazioni con quelli che tra poco avrebbero preso posto in essi e che ora passeggiavano per la sala, assorti, taciturni, ispidi come tanti cocomerelli selvatici pronti a schizzare a un minimo urto il loro sugo purgativo, pareva che non per gli anni si fossero logorati così, ma per la cura cupamente austera del pubblico bene, per i pensieri roditori che in loro, naturalmente, erano divenuti tarli.
Tucci mi mostrò e mi nominò a dito i consiglieri piú autorevoli: l’Ansatti tra i giovani, rivale dello Zagardi, tozzo e barbuto anche lui, ma bruno; il Colacci, vecchio gigantesco, calvo, sbarbato, dalla pinguedine floscia; il Maganza, bell’uomo, militarmente impostato, che guardava tutti con rigidezza sdegnosa. Ma ecco, ecco il sindaco in ritardo. Quello? Sì, Anselmo Placci. Tondo, biondo, rubicondo: quel sindaco stonava.
– Non stona, vedrai, – mi disse Tucci. – È il sindaco che ci vuole.
Nessuno lo salutava; solo il Colacci gigantesco gli si accostò per battergli forte la mano su la spalla. Egli sorrise, corse a prender posto sul suo seggio, asciugandosi il sudore, e sonò il campanello, mentre il capo – usciere gli porgeva la nota dei consiglieri presenti. Non mancava nessuno.
Il segretario, senza aspettar l’ordine, aveva preso a leggere il verbale della seduta precedente, che doveva essere redatto con la piú scrupolosa diligenza, perché i consiglieri che lo ascoltavano accigliati approvavano di tratto in tratto col capo, e in fine non trovarono nulla da ridire.
Prestai ascolto anch’io a quel verbale, volgendomi ogni tanto, smarrito e sgomento, a guardare l’amico Tucci. A proposito delle strade di Milocca, si parlava come niente di Londra, di Parigi, di Berlino, di New York, di Chicago, in quel verbale, e saltavan fuori nomi d’illustri scienziati d’ogni nazione e calcoli complicatissimi e astrusissime disquisizioni, per cui i capelli del magro, pallido segretario mi pareva si ritraessero verso la nuca, man mano ch’egli leggeva, e che la fronte gli crescesse mostruosamente. Intanto due o tre uscieri, zitti zitti, in punta di piedi, recavano a questo e a quel banco pile enormi di libri e grossi incartamenti.
– Nessuno ha da fare osservazioni al verbale? – domandò alla fine il sindaco. stropicciandosi le mani paffutelle e guardando in giro. – Allora s’intende approvato. L’ordine del giorno reca: – Discussione del progetto presentato dalla Giunta per un impianto idro–termo–elettrico nel Comune di Milocca. – Signori Consiglieri! Voi conoscete già questo progetto e avete avuto tutto il tempo d’esaminarlo e di studiarlo in ogni sua parte. Prima di aprire la discussione, consentite che io, anche a nome dei colleghi della Giunta, dichiari che noi abbiamo fatto di tutto per risolvere nel minor tempo e nel modo che ci è sembrato piú conveniente, sia per il decoro e per il vantaggio del paese, sia rispetto alle condizioni economiche del nostro Comune, il gravissimo problema dell’illuminazione. Aspettiamo dunque fiduciosi e sereni il vostro giudizio, che sarà equo certamente; e vi promettiamo fin d’ora, che accoglieremo ben volentieri tutti quei consigli, tutte quelle modificazioni che a voi piacerà di proporre, ispirandovi come noi al bene e alla prosperità del nostro paese.
Nessun segno d’approvazione.
E si levò prima a parlare il consigliere Maganza, quello dall’impastatura militaresca. Premise che sarebbe stato brevissimo, al solito suo. Tanto piú che per distruggere e atterrare quel fantastico edificio di cartapesta (sic), ch’era il progetto della Giunta, poche parole sarebbero bastate. Poche parole e qualche cifra.
E punto per punto il consigliere Maganza si mise a criticare il progetto, con straordinaria lucidità d’idee e parola acuta, incisiva: il complesso dei lavori e delle spese; la sanzione che si doveva dare per l’acquisto della concessione dell’acqua di Chiarenza; i rischi gravissimi a cui sarebbe andato incontro il Municipio: il rischio della costruzione e il rischio dell’esercizio; l’insufficienza della somma preventivata, che saltava agli occhi di tutti coloro che avevano fatto impianti meccanici e sapevano come fosse impossibile contener le spese nei limiti dei preventivi, specialmente quando questi preventivi erano fatti sopra progetti di massima e con l’evidente proposito di fare apparir piccola la spesa; il carattere impegnativo che aveva l’offerta dell’accollatario, fermi restando i dati su i quali l’offerta medesima era fondata; dati che per forza il Consiglio avrebbe dovuto alterare con varianti e aggiunte ai lavori idraulici, con varianti e aggiunte Gl’impianti meccanici; e ciò oltre a tutti i casi imprevisti e imprevedibili, di forza maggiore, e a tutte le accidentalità, incagli, intoppi, che certamente non sarebbero mancati. Come poi fare appunti particolareggiati senza avere a disposizione i disegni d’esecuzione e i dati necessari? Eppure due enormi lacune apparivano già evidentissime nel progetto: nessuna somma per le spese generali, mentre ognuno comprendeva che non si potevano eseguire lavori così grandiosi, così estesi, così varii e delicati, senza gravi spese di direzione e di sorveglianza e spese legali e amministrative; e l’altra lacuna ben piú vasta e profonda: la riserva termica che in principio la Giunta sosteneva non necessaria e che poi finalmente ammetteva.
E qui il consigliere Maganza, con l’ajuto dei libri che gli avevano recati gli uscieri, si sprofondò in una intricatissima, minuziosa confutazione scientifica, parlando della forza dei torrenti e delle cascate e di prese e di canali e di condotte forzate e di macchinarii e di condotte elettriche e delle relazioni da stabilire tra riserva termica e forza idraulica, oltre la riserva degli accumulatori; citando la Società Edison di Milano e l’Alta Italia di Torino e ciò che per simili impianti s’era fatto a Vienna, a Pietroburgo, a Berlino.
Eran passate circa due ore e il brevissimo discorso non accennava ancora di finire. Il pubblico stipato pendeva dalle labbra dell’oratore, per nulla oppresso da tanta copia d’irta, spaventevole erudizione. Io quasi non tiravo piú fiato; eppure lo stupore mi teneva lì, con gli occhi sbarrati e a bocca aperta. Ma alla fine, il Maganza, mentre il pubblico s’agitava, non già per sollievo, anzi per viva ammirazione, concluse così:
– La dura esperienza in altre città, o signori, ha purtroppo dimostrato che gl’impianti idro–termo–elettrici cono della massima difficoltà e serbano dolorosissime sorprese. Nessuno può far miracoli, e tanto meno, su la base d’un così fatto progetto, potrà farne il Municipio di Milocca!
Scoppiarono frenetici applausi e il consigliere Ansatti si precipitò dal suo banco ad abbracciare e baciare il Maganza; poi, rivolto al pubblico e ritornando man mano al suo posto, prese a gridare tutto infocato, con violenti gesti:
– Si osa proporre, o signori, oggi, oggi, come se noi ci trovassimo dieci o venti anni addietro, al tempo di Galileo Ferraris, si osa proporre un impianto idro–termoelettrico a Milocca! Ah come mi metterei a ridere, se potesse parermi uno scherzo! Ma coi denari dei contribuenti, o signori della Giunta, non è lecito scherzare, ed io non rido, io m’infiammo anzi di sdegno! Un impianto idro–termo–elettrico a Milocca, quando già spunta su l’orizzonte scientifico la gloria consacrata di Pictet? Non vi farò il torto di credere, o signori, che voi ignoriate chi sia l’illustre professor Pictet, colui che con un processo di produzione economica dell’ossigeno industriale prepara una memoranda rivoluzione nel mondo della scienza, della tecnica e dell’industria, una rivoluzione che sconvolgerà tutto il macchinismo della vita moderna, sostituendo questo nuovo elemento di luce e di calore a tutti quelli, di potenza molto minore, che finora sono in uso!
E con questo tono e con crescente fuoco, il consigliere Ansatti spiegò al pubblico attonito e affascinato la scoperta del Pictet, e come col sistema da lui inventato le fiamme delle reticelle Auer sarebbero arrivate alle altissime temperature di tremila gradi, aumentando di ben venti volte la loro luminosità; e come la luce così ottenuta sarebbe stata, a differenza di tutte le altre, molto simile a quella solare; e che se poi, al posto del gas, si fosse messa un’altra miscela derivante da un trattamento del carbon fossile col vapore acqueo e l’ossigeno industriale, il potere calorifico sarebbe aumentato di altre sei volte!
Mentr’egli spiegava questi prodigi, il consigliere Zagardi, suo rivale, quello che mi aveva compianto per la scala, sogghignava sotto sotto. L’Ansatti se ne accorse e gli gridò:
– C’è poco da sogghignare, collega Zagardi! Dico e sostengo di altre sei volte! Ci ho qui i libri; te lo dimostrerò!
E glielo dimostrò, difatti; e alla fine, balzando da quella terribile dimostrazione piú vivo e piú infocato di prima, concluse, rivolto alla Giunta:
– Ora in quali condizioni, o ciechi amministratori, in quali condizioni d’inferiorità si troverebbero il Municipio e il paese di Milocca, coi loro miserabili 1000 cavalli di forza elettrica, quando questo enorme rivolgimento sarà nell’industria e nella vita un fatto compiuto?
– Scusami, – diss’io piano all’amico Tucci, mentre gli applausi scrosciavano nella sala con tale impeto che il tetto pareva ne dovesse subissare, – levami un dubbio: non è intanto al bujo il paese di Milocca?
Ma Tucci non volle rispondermi:
Zitto! Zitto! Ecco che parla Zagardi! Sta’ a sentire!
Il tozzo omacciotto barbuto s’era infatti levato, col sogghigno ancora su le labbra, torcendosi sul mento, con gesto dispettoso, il rosso pelo ricciuto.
– Ho sogghignato, – disse, – e sogghigno, collega Ansatti, nel vederti così tutto fiammante d’ossigeno industriale, paladino caloroso del professor Pictet! Ho sogghignato e sogghigno collega Ansatti non tanto di sdegno quanto di dolore nel vedere come tu, così accorto, tu, giovane e vigile bracco della scienza, ti sia fermato alla nuova scoperta di quel professor francese e, abbagliato dalla luce venti volte cresciuta delle reticelle Auer, non abbia veduto un piú recente sistema d’illuminazione che il Municipio di Parigi va sperimentando per farne poi l’applicazione generale nella ville lumière. Io dico il Lusol, collega Ansatti, e non scioglierò inni in gloria della nuova scoperta, perché non con gl’inni si fanno le rivoluzioni nel campo della scienza, della tecnica e dell’industria, ma con calcoli riposati e rigorosi.
E qui lo Zagardi, non smettendo mai di tormentarsi sul mento la barbetta rossigna, piano piano, col suo fare mordace e dispettoso, parlò della semplicità meravigliosa delle lampade a lusol, nelle quali il calore di combustione dello stoppino e la capillarità bastavano a determinare senz’alcun meccanismo l’ascesa del liquido illuminante, la sua vaporizzazione e la sua mescolanza alla forte proporzione d’aria che rendeva la fiamma piú viva e sfavillante di quella ottenuta con qualunque altro sistema. E per un miserabilissimo centesimo si sarebbe ormai avuta la stessa luce che si aveva a quattro o cinque centesimi col vile petrolio, a otto o dieci con l’ambiziosa elettricità, a quindici o venti col pacifico olio. E il Lusol non richiedeva né costruzioni di officine, né impianti, né canalizzazioni. Non aveva egli dunque ragione di sogghignare?
O fosse per la tempesta suscitata nella poca aria della sala dalle deliranti acclamazioni e dai battimani del pubblico, o fosse per mancanza d’alimento, essendosi la seduta già protratta oltre ogni previsione, il fatto è che, alla fine del discorso dello Zagardi, i lumi si abbassarono di tanto, che si era quasi al bujo quando sorse per ultimo a parlare il Colacci, il vecchio gigantesco dalla pinguedine floscia. Ma ecco: prima un usciere e poi un altro e poi un terzo entrarono come fantasmi nell’aula, reggendo ciascuno una candela stearica. L’aspettazione nel pubblico era intensa: indimenticabile la scena che offriva quella tetra sala affollata nella semioscurità, con quelle tre candele accese presso il vecchio gigantesco che con ampli gesti e voce tonante mellificava la Scienza, feconda madre di luce inestinguibile, produttrice inesauribile di sempre nuove energie e di piú splendida vita.
Dopo le scoperte mirabili di cui avevano parlato l’Ansatti e lo Zagardi, era piú possibile sostenere l’impianto idro–termo–elettrico proposto dalla Giunta? Che figura avrebbe fatto il paese di Milocca illuminato soltanto a luce elettrica? Questo era il tempo delle grandi scoperte, e ogni amministrazione che avesse veramente a cuore il decoro del paese e il bene dei cittadini, doveva stare in guardia dalle sorprese continue della Scienza. Il consigliere Colacci, pertanto, sicuro d’interpretare i voti del buon popolo milocchese e di tutti i colleghi consiglieri, proponeva la sospensiva sul progetto della Giunta, in vista dei nuovi studi e delle nuove scoperte che avrebbero finalmente dato la luce al paese di Milocca.
– Hai capito? – mi domandò Tucci, uscendo poco dopo nelle tenebre dello spiazzo sterposo innanzi al Municipio. – E così per l’acqua, e così per le strade, e così per tutto. Da una ventina d’anni il Colacci si alza a ogni fine di seduta per inneggiare alla Scienza, per inneggiare alla luce, mentre i lumi si spengono, e propone la sospensiva su ogni progetto, in vista di nuovi studii e di nuove scoperte. Così noi siamo salvi, amico mio! Tu puoi star sicuro che la Scienza, a Milocca, non entrerà mai. Hai una scatola di fiammiferi? Cavala fuori e fatti lume da te.