sabato 25 aprile 2009

La liberazione

Dal sito dell'associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI):
La lotta di liberazione della Basilicata si riassume nell'insurrezione della città di Matera avvenuta il 21 settembre 1943. Per ritorsione contro gli insorti i tedeschi fanno saltare in aria 21 ostaggi nella caserma in cui erano reclusi, ma il popolo si arma, continua a combattere e tiene la piazza fino all'arrivo delle truppe canadesi. In questo modo la gente lucana ripaga il nemico che pochi giorni prima, il 18 settembre, aveva massacrato - senza motivo - 15 ostaggi di Rionero in Vulture. Nella terra di Lavoro, dove erano attivi tra i braccianti del PCI, la resistenza contro i nazi-fascisti ha circa 500 caduti.

invece qui un tratto di storia...

mercoledì 22 aprile 2009

BASILICATA PIANO ENERGETICO. IL FOTOVOLTAICO /5

forse c'è di più cerco il documento in pdf...

PIANO ENERGETICO. IL FOTOVOLTAICO /5

(AGR) - Gli impianti fotovoltaici sono classificati di “microgenerazione” se soddisfano una delle seguenti condizioni:
a) potenza nominale massima non superiore a 1.000 KWp (art.2 del D.Lgs.387/03);
b) se destinati a soddisfare il proprio fabbisogno energetico (classificati per autoproduzione ai sensi dell’art.2 del D.Lgs.79/99);
Per tali tipi di impianti si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (D.I.A.) di cui agli articoli 22 e 23 del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e sue successive modificazioni.
La D.I.A. deve essere presentata al Comune territorialmente competente nonché all’Ufficio competente della Regione Basilicata allegando, in aggiunta a quanto previsto dal richiamato T.U., la seguente documentazione (L.R. n.31/2008):
a) titolo di proprietà o disponibilità dell’area;
b) copia della STMG (soluzione tecnica minima generale) rilasciata dalla società della rete utente, che prevede la connessione dell’impianto;
c) progetto definitivo dell’impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili;
d) progetto di gestione e manutenzione dell’impianto;
e) progetto di dismissione dell’impianto;
f) nel caso di impianti di potenza nominale superiore a 200 KW:
i. quadro economico finanziario asseverato da un istituto bancario o da un intermediario finanziario inscritto nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria o creditizia emanato con decreto legislativo 1 settembre 1993, 385 come da ultimo modificato dalla lettera m) del comma 1 dell’articolo 1 del decreto legge 27 dicembre 2006, n. 297, come modificata dalla legge di conversione, che ne attesti la congruità:
ii. dichiarazione resa da un istituto bancario che attesti che il soggetto proponente l’impianto disponga di risorse finanziarie ovvero di linee di credito proporzionate all’investimento per la realizzazione dell’impianto;
iii. eventuali assensi dovuti a specifiche norme di legge che interessano il sito oggetto di intervento:
Tali impianti, ad eccezione dei sistemi integrati (parzialmente o totalmente ai sensi del D.M. 19/02/07) non possono essere realizzati:
i. nei siti della Rete Natura 2000 (siti di importanza comunitaria – SIC – e zone di protezione speciale – ZPS) ai sensi delle direttive comunitarie 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche e 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
ii. nei parchi nazionali e regionali ove non espressamente consentiti dai rispettivi regolamenti;
iii. nelle aree vincolate ai sensi dei Piani Stralcio di Bacino redatti ai sensi del D. Lgs. n. 152/2006 e classificate a rischio R2, R3 ed R4;
iv. su terreni agricoli classificati catastalmente irrigui, ovvero destinati a colture intensive quali uliveti, agrumeti o altri alberi da frutto nonché a boschi e foreste;
v. su terreni agricoli la cui estensione non superi 6 volte la superficie del generatore fotovoltaico ( superficie captante dei pannelli); per soddisfare detta condizione è consentito l’asservimento solo di particelle contigue che pertanto non potranno essere asservite ad altri impianti;
vi. su terreni agricoli derivanti da azioni di frazionamento successive alla data dell’1/12/2008 ovvero su particelle di terreni agricoli confinanti.
La titolarità della realizzazione e della gestione dell’impianto ottenuta con la procedura semplificata può essere ceduta a terzi, mediante autorizzazione alla volturazione rilasciata dal Comune interessato, che provvede a darne comunicazione alla Regione Basilicata.
I proprietari degli impianti fotovoltaici di microgenerazione sono tenuti a comunicare al Comune in cui l’impianto è ubicato ed all’Ufficio regionale competente la data di entrata in funzione ed in esercizio dell’impianto medesimo, nonché la data di cessazione definitiva dell’attività produttiva dell’impianto.
Alla fine della vita utile dell’impianto fotovoltaico di microgenerazione, il proprietario è tenuto a dismettere, a propria cura e spese, le opere e le componenti dell’impianto stesso provvedendo al ripristino dello stato dei luoghi.

Procedure per la realizzazione e l’esercizio degli impianti fotovoltaici di grande generazione.

Si definiscono impianti di grande generazione gli impianti di potenza nominale superiore a 1.000 KWp.
Gli impianti di grande generazione devono possedere requisiti minimi di carattere ambientale, territoriale, tecnico e di sicurezza, propedeutici all’avvio dell’iter autorizzativo.
A tal fine sul territorio regionale sono stati individuati aree e siti non idonei alla installazione di tali impianti.


Aree e siti non idonei.

Sono aree che per effetto dell’eccezionale valore ambientale, paesaggistico, archeologico e storico o per effetto della pericolosità idrogeologica si ritiene necessario preservare.
Ricadono in questa categoria:
1. Le Riserve Naturali regionali e statali;
2. Le aree SIC;
3. Le aree ZPS;
4. Le Oasi WWF;
5. I siti archeologici e storico-monumentali con fascia di rispetto di 300 m;
6. Le aree indicate con rischio idrogeologico elevato o molto elevato nei “Piani per la difesa del rischio idrogeologico” (PAI) redatti dalle competenti Autorità di bacino (aree R2, R3 ed R4 dei PAI), nonché le aree classificate come aree a rischio geologico eccezionale o elevato nei Piani Paesistici di Area Vasta;
7. Le aree comprese nei Piani Paesistici di Area vasta soggette a vincolo di conservazione A1 e A2;
8. I boschi governati a fustaia e di castagno
9. Le fasce costiere per una profondità di 1.000m;
10. Le aree fluviali, umide, lacuali e dighe artificiali con fascia di rispetto di 300 m dalle sponde;
11. I centri urbani. A tal fine è necessario considerare la zona all’interno del limite dell’ambito urbano previsto dai regolamenti urbanistici redatti ai sensi della L.R. n. 23/99.
12. Aree dei Parchi Nazionali e Regionali esistenti;
13. Aree comprese nei Piani Paesistici di Area Vasta soggette a verifica di ammissibilità;
14. Aree sopra i 1200 metri di altitudine dal livello del mare;
15. Aree di crinale individuati dai Piani Paesistici di Area Vasta come elementi lineari di valore elevato;
16. Su terreni agricoli classificati catastalmente irrigui, ovvero destinati a colture intensive quali uliveti, agrumeti o altri alberi da frutto nonché a boschi e foreste;


Aree e siti idonei.

In queste aree un progetto di impianto fotovoltaico deve soddisfare i seguenti requisiti tecnici, propedeutici all’avvio dell’iter autorizzativo.

Requisiti tecnici minimi.
Il progetto per la realizzazione di un impianto fotovoltaico di grande generazione deve soddisfare i seguenti requisiti:
1. Potenza massima dell’impianto non superiore a 10MW (la potenza massima dell’impianto potrà essere raddoppiata qualora i progetti comprendano interventi di sviluppo locale ed in grado di concorrere al complesso degli obiettivi del PIEAR, concordati con le Amministrazioni locali interessate dal parco fotovoltaico. La Giunta regionale, al riguardo, provvederà a definire le tipologie, le condizioni, la congruità e le modalità di valutazione e attuazione degli interventi di sviluppo locale);
2. Distanza tra due o più impianti di almeno 2.000 m dai perimetri dei medesimi;
3. nelle aree dei Piani Paesistici soggette a trasformabilità condizionata o ordinaria, la superficie occupata dall’impianto (area delimitata dal perimetro esterno dell’impianto) non potrà superare il 10% delle particelle catastali interessate.
4. Garanzia almeno ventennale del produttore dei moduli fotovoltaici;
5. Decadimento prestazionale dei moduli fotovoltaici non superiore al 10% nell’arco dei 10 anni e non superiore al 20 % nei venti anni di vita;
6. Utilizzo di moduli fotovoltaici realizzati in data non anteriore a due anni rispetto alla data di installazione;
7. Irradiazione giornaliera media annua valutata in KWh/mq*giorno di sole sul piano dei moduli non inferiore a 4.


La progettazione.
Il progetto deve evidenziare gli elementi che possono determinare un impatto apprezzabile sull’ambiente, elencando ed analizzando le singole opere ed operazioni, distinguendo le varie fasi (fase di cantiere, fase di esercizio e di manutenzione, fase di dismissione). Inoltre dovrà contenere la descrizione dell’ambiente, l’analisi degli impatti, l’analisi delle alternative, le misure di mitigazione correlate alla componente naturalistica (fauna, flora ed ecosistema). Particolare attenzione dovrà essere dedicata a:
a) Impatto visivo e paesaggistico. Tra i vari impatti che la realizzazione di un impianto fotovoltaico determina, l’impatto visivo e paesaggistico è quello ritenuto, almeno da letteratura, il più rilevante e ciò per effetto di una serie di ragioni strettamente connesse alla localizzazione degli impianti e alle loro caratteristiche costruttive. Dovendo, infatti, gli impianti fotovoltaici per sfruttare l’energia solare per produrre elettricità essi debbono essere posti in zone esposte al sole e quindi per lo più su aree libere, pianeggianti, prive di ombreggiamento esposte a sud. L’inserimento di una centrale fotovoltaica all’interno di un territorio non è però da vedersi una intrusione visiva se inserita in un contesto ambientale marginale e poco visibile dagli insediamenti antropici. In tal senso si deve prestare molta attenzione alla progettazione della ubicazione dell’impianto e del posizionamento dei suoi singoli elementi realizzando uno studio di impatto sul paesaggio dal quale emerga come viene a modificarsi lo stesso a causa dell’inserimento dell’impianto fotovoltaico.
b) Impatto elettromagnetico. La presenza di un impianto fotovoltaico determina anche un impatto elettromagnetico sul territorio circostante. L’impatto elettromagnetico causato dagli impianti fotovoltaici è molto ridotto nei casi in cui il trasporto dell’energia prodotta avviene tramite l’utilizzo di linee di trasmissione esistenti. Diverso è il caso in cui le linee elettriche siano appositamente progettate e costruite. In ogni caso, a completamento dello Studio di Impatto Ambientale, dovrà essere allegata una tavola riassuntiva del tracciato e delle caratteristiche fisiche dell’elettrodotto ed una relazione tecnica specialistica di calcolo del campo elettrico e del campo di induzione magnetica (corredata dai rispettivi diagrammi) che metta in luce il rispetto dei limiti della Legge n. 36/2001 e dei relativi Decreti attuativi. Tale verifica di compatibilità elettromagnetica deve essere eseguita anche per le stazioni di disconnessione e le sottostazioni elettriche.
Nella redazione del progetto bisognerà in ogni caso osservare le prescrizioni di seguito elencate:
a) Per garantire il passaggio della fauna, la recinzione dell’impianto deve essere rialzata di almeno 20 cm dal piano di campagna;
b) la distanza minima longitudinale tra le file di pannelli deve essere tale da evitare ombreggiamenti e consentire il transito di mezzi e persone per la gestione e manutenzione dell’impianto;
c) Al fine di ridurre l’impatto visivo e paesaggistico è necessario che fra più impianti che presentano intervisibilità sia rispettata una distanza minima di almeno 2 km fra le recinzioni degli stessi Può essere accettata una distanza inferiore ai 2 km solo nel caso in cui ci sia una condivisione tra i due impianti della sottostazione elettrica di trasformazione da media ad alta tensione per la connessione alla rete di distribuzione o di trasmissione nazionale e delle opere civili connesse alla realizzazione delle infrastrutture principali, ad eccezione delle strade, qualora preesistenti. In ogni caso si richiede la progettazione dovrà affrontare lo studio dell’impatto cumulativo generato dai due impianti, al fine di valutare la sostenibilità dell’opera da un punto di vista paesaggistico ed ambientale. Indipendentemente dal soggetto richiedente, la deroga alla interdistanza di 2 km non è estendibile a più di 2 impianti.
d) l’ubicazione dell’impianto deve essere il più vicino possibile al punto di connessione alla rete di conferimento dell’energia in modo tale da ridurre l’impatto degli elettrodotti di collegamento. Le linee interrate devono essere collocate ad una profondità minima di 1,2 metri, protette e accessibili nei punti di giunzione, opportunamente segnalate e adiacenti il più possibile ai tracciati stradali. Ove non fosse tecnicamente possibile la realizzazione di elettrodotti interrati, la linea aerea in MT deve essere dotata di conduttori riuniti all’interno di un unico rivestimento isolante. In tal caso il tracciato delle linee aeree deve il più possibile affiancarsi alle infrastrutture lineari esistenti e deve essere preso in esame l’impatto che la presenza di linee aeree può avere sull’avifauna, sia in riferimento al fenomeno delle collisioni che dell’elettrocuzione, e sul paesaggio, nonché le relative misure di mitigazione.
e) l’installazione degli impianti non è consentita su aree classificate a rischio R2, R3 ed R4 dal vigente PAI;
f) la stabilità delle aree impegnate dall’impianto dovrà essere dimostrata dagli esiti di apposita indagine geologica;
g) l’ubicazione degli impianti e delle opere connesse (cavidotti interrati, strade di servizio, sottostazione, ecc.) deve essere evitata in prossimità di compluvi e torrenti montani indipendentemente dal loro bacino idraulico, regime e portate;
h) gli sbancamenti ed i riporti di terreno devono essere contenuti il più possibile ed è necessario prevedere per le opere di contenimento e ripristino l’utilizzo di tecniche di ingegneria naturalistica;
i) dovranno essere indicate le aree di cantiere ed i percorsi utilizzati per il trasporto delle componenti dell’impianto fino al sito prescelto privilegiando le strade esistenti per evitare la realizzazione di modifiche ai tracciati; andranno valutati accessi alternativi con esame dei relativi costi ambientali;
j) nel caso sia indispensabile realizzare nuovi tratti stradali per garantire l’accesso al sito, dovranno preferirsi soluzioni che consentano il ripristino dei luoghi una volta realizzato l’impianto; in particolare: piste in terra o a bassa densità di impermeabilizzazione aderenti all’andamento del terreno;
k) Deve essere evitato il rischio di erosione causato dall’impermeabilizzazione delle strade di servizio e dalla costruzione dell’impianto.

Fase di realizzazione.
a) Il soggetto autorizzato dovrà assicurare che la presenza del cantiere non precluda l’esercizio delle attività agricole dei fondi confinanti e la continuità della viabilità esistente;
b) Durante la fase di realizzazione, dovranno essere impiegati tutti gli accorgimenti tecnici possibili per ridurre la dispersione di polveri sia nel sito che nelle aree circostanti;
c) Dovrà essere predisposto un sistema di smaltimento delle acque meteoriche cadute sull’area di cantiere, e prevedere idonei accorgimenti tecnici che impediscano il dilavamento della superficie dell’aerea di cantiere;
d) Deve essere ripristinata la vegetazione eliminata durante la fase di cantiere e deve essere garantita la restituzione alle condizioni ante operam delle aree interessate dalle opere non più necessarie durante la fase di esercizio (piste di lavoro, aree di cantiere e di stoccaggio dei materiali ecc.);
e) Al termine dei lavori il proponente deve procedere al ripristino morfologico, alla stabilizzazione ed inerbimento di tutte le aree soggette a movimenti di terra e al ripristino della viabilità pubblica e privata, utilizzata ed eventualmente danneggiata in seguito alle lavorazioni.

Fase di esercizio.
a) Il soggetto autorizzato dovrà assicurare che la centrale fotovoltaica non precluda, in nessun caso, l’esercizio delle attività agricole dei fondi confinanti né ogni altro tipo di attività preesistente;
b) Dovrà essere assicurata la protezione della centrale fotovoltaica in caso d’incendio;

Fase di dismissione.
Alla fine del ciclo produttivo dell’impianto, il soggetto autorizzato è tenuto a dismettere la centrale fotovoltaica secondo il progetto approvato o, in alternativa, l’adeguamento produttivo dello stesso.
Nel caso di dismissione il soggetto autorizzato dovrà, nel rispetto del progetto approvato e della normativa vigente:
a) Rimuovere il generatore fotovoltaico in tutte le sue componenti conferendo il materiale di risulta agli impianti all’uopo deputati dalla normativa di settore per lo smaltimento ovvero per il recupero;
b) Rimuovere completamente le linee elettriche e gli apparati elettrici e meccanici della sottostazione conferendo il materiale di risulta agli impianti all’uopo deputati dalla normativa di settore;
c) Ripristinare lo stato preesistente dei luoghi mediante la rimozione delle opere interrate, il rimodellamento del terreno allo stato originario ed il ripristino della vegetazione, avendo cura di:
i. Ripristinare la coltre vegetale assicurando il ricarico con almeno 50 cm di terreno vegetale;
ii. rimuovere i tratti stradali della viabilità di servizio rimuovendo la fondazione stradale e tutte le relative opere d’arte;
iii. utilizzare per il ripristino della vegetazione essenze erbacee, arbustive ed arboree autoctone;
iv. utilizzare tecniche di ingegneria naturalistica per i ripristini geomorfologici;
d) Convertire ad altra destinazione d’uso, compatibile con le norme urbanistiche vigenti per l’area e conservando gli elementi architettonici tipici del territorio di riferimento, gli edifici dei punti di raccolta delle reti elettriche e della sottostazione; in alternativa gli stessi dovranno essere demoliti.
e) Comunicare agli Uffici regionali competenti la conclusione delle operazioni di dismissione dell’impianto.

Documentazione a corredo della domanda di autorizzazione.
Nella domanda di autorizzazione unica ai sensi del D. Lgs.387/2003 deve essere inclusa:
a) copia della STMG (soluzione tecnica minima generale) rilasciata dalla società della rete utente ovvero dalla società titolare delle reti di trasmissione, che prevede la connessione dell’impianto;
b) progetto definitivo dell’impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili;
c) relazione tecnica sull’individuazione del sito dell’impianto e del tracciato dell’elettrodotto di collegamento, che dimostri la bontà della scelta in relazione alla distanza dal punto di consegna;
d) progetto di gestione e manutenzione dell’impianto;
e) progetto di dismissione dell’impianto (è indispensabile riportare nel progetto un piano di dismissione dell’impianto che preveda, alla cessazione dell’attività produttiva, le modalità di rimozione della infrastruttura e di tutte le opere principali connesse, lo smaltimento del materiale dismesso ed il ripristino dello stato dei luoghi; il piano dovrà contenere le modalità la quantificazione delle operazioni di dismissione, di smaltimento e di ripristino dello stato dei luoghi);
f) quadro economico finanziario asseverato da un istituto bancario o da un intermediario finanziario iscritto nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria o creditizia emanato con decreto legislativo 1 settembre 1993, 385 come da ultimo modificato dalla lettera m) del comma 1 dell’articolo 1 del decreto legge 27 dicembre 2006, n. 297, come modificata dalla legge di conversione, che ne attesti la congruità:
g) dichiarazione resa da un istituto bancario che attesti che il soggetto proponente l’impianto disponga di risorse finanziarie ovvero di linee di credito proporzionate all’investimento per la realizzazione dell’impianto;
h) piano particellare di esproprio con l’indicazione delle ditte catastali, delle superfici interessate dall’impianto e loro classificazione;
i) certificazione urbanistica rilasciata dal/dai comuni interessati con indicazione dei vincoli cui è soggetta l’area di ubicazione dell’impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture necessaria;
j) Garanzia almeno ventennale del produttore dei moduli fotovoltaici;
k) Certificazione comprovante il decadimento prestazionale dei moduli fotovoltaici non superiore al 10% nell’arco dei 10 anni e non superiore al 20 % nei venti anni di vita;
l) Certificazione comprovante la costruzione dei moduli fotovoltaici di data non anteriore a due anni rispetto alla data di installazione.
m) i dati e le planimetrie descrittivi del sito con localizzazione georeferenziata dell’impianto in coordinate UTM WGS84

BASILICATA PIANO ENERGETICO. L’EOLICO /4

ok mi sembrano delle buone regole a prova di ambientalista inconcludente

PIANO ENERGETICO. L’EOLICO /4

(AGR) - In queste aree non è consentita la realizzazione di impianti eolici di macrogenerazione.
Sono aree che per effetto dell’eccezionale valore ambientale, paesaggistico, archeologico e storico, o per effetto della pericolosità idrogeologica, si ritiene necessario preservare.
Ricadono in questa categoria:
1. Le Riserve Naturali regionali e statali;
2. Le aree SIC;
3. Le aree ZPS;
4. Le Oasi WWF;
5. I siti archeologici e storico-monumentali con fascia di rispetto di 300 m;
6. Le aree indicate con rischio idrogeologico elevato o molto elevato nei “Piani per la difesa del rischio idrogeologico” (PAI) redatti dalle competenti Autorità di bacino (aree R3 ed R4 dei PAI), nonché le aree classificate come aree a rischio geologico eccezionale o elevato nei Piani Paesistici di Area Vasta;
7. Le aree comprese nei Piani Paesistici di Area vasta soggette a vincolo di conservazione A1 e A2;
8. I boschi governati a fustaia e di castagno;
9. Le fasce costiere per una profondità di almeno 1.000 m;
10. Le aree fluviali, umide, lacuali e le dighe artificiali con fascia di rispetto di 300 m dalle sponde;
11. I centri urbani. A tal fine è necessario considerare la zona all’interno del limite dell’ambito urbano previsto dai regolamenti urbanistici redatti ai sensi della L.R. n. 23/99.
12. Aree dei Parchi Nazionali e Regionali;
13. Aree comprese nei Piani Paesistici di Area Vasta soggette a verifica di ammissibilità;
14. Aree sopra i 1.200 m di altitudine dal livello del mare;
15. Aree di crinale individuati dai Piani Paesistici di Area Vasta come elementi lineari di valore elevato.

I progetti per la realizzazione di impianti eolici di grande generazione, per essere esaminati ai fini dell’autorizzazione unica di cui all’art.12 del D.lgs 387/2003, è necessario che, indipendentemente dalla zona in cui ricadono, soddisfino i seguenti vincoli tecnici minimi:
a) Velocità media annua del vento a 25 m dal suolo non inferiore a 5 m/s;
b) Ore equivalenti di funzionamento dell’aerogeneratore non inferiori a 2.000 ore;
c) Densità volumetrica di energia annua unitaria non inferiore a 0,3 kWh/(anno·mc), come riportato nella formula seguente:
Ev =
Dove:
E = energia prodotta dalla turbina (espressa in kWh/anno);
D = diametro del rotore (espresso in metri);
H = altezza totale dell’aerogeneratore (espressa in metri), somma del raggio del rotore e dell’altezza da terra del mozzo;
d) Taglia minima dell’aerogeneratore: 2 MW (2.000 kW);
e) Numero massimo di aerogeneratori: 15 (10 nelle aree di valore naturalistico, paesaggistico e ambientale). Il numero massimo degli aerogeneratori potrà essere aumentato fino a 30 qualora i progetti comprendano interventi di sviluppo locale ed in grado di concorrere al complesso degli obiettivi del PIEAR, concordati con le Amministrazioni locali interessate dal parco eolico. La Giunta regionale, al riguardo, provvederà a definire le tipologie, le condizioni, la congruità e le modalità di valutazione e attuazione degli interventi di sviluppo locale.
Ai fini della valutazione delle ore equivalenti, di cui al punto b, e della densità volumetrica, di cui al punto c, valgono le seguenti definizioni:
1. Ore equivalenti di funzionamento di un aerogeneratore: rapporto fra la produzione annua di energia elettrica dell’aerogeneratore espressa in megawattora (MWh) (basata sui dati forniti dalla campagna di misure anemometriche) e la potenza nominale dell’aerogeneratore espressa in megawatt (MW).
2. Densità volumetrica di energia annua unitaria (Ev): rapporto fra la stima della produzione annua di energia elettrica dell’aerogeneratore espressa in chilowattora anno, e il volume del campo visivo occupato dall’aerogeneratore espresso in metri cubi e pari al volume del parallelepipedo di lati 3D, 6D e H, dove D è il diametro del rotore e H è l’altezza complessiva della macchina (altezza del mozzo + lunghezza della pala); cfr. Fig. A - A.


Fig. A - A: Volume del campo visivo occupato da un aerogeneratore.

La densità volumetrica di energia annua unitaria è un parametro di prestazione dell’impianto che permette di avere una misura dell’impatto visivo di due diversi aerogeneratori a parità di energia prodotta. Infatti, avere elevati valori di Ev significa produrre maggiore energia a parità di impatto visivo dell’impianto.

I progetti, per poter avviare l’iter autorizzativo, devono rispettare i seguenti requisiti di sicurezza inderogabili:
a) Distanza minima di ogni aerogeneratore dal limite dell’ambito urbano previsto dai regolamenti urbanistici redatti ai sensi della L.R. n. 23/99 pari a 1.000 m, previa verifica di compatibilità acustica e mancanza di effetti di Shadow-Flickering in prossimità delle abitazioni;
b) Distanza minima da edifici a carattere abitativo, commerciale, per servizi e turistico-ricreativo, fuori dal limite dell’ambito urbano previsto dai regolamenti urbanistici redatti ai sensi della L.R. n. 23/99, pari a 500 m, previa verifica di compatibilità acustica e mancanza di effetti di Shadow-Flickering in prossimità degli edifici;
c) Distanza minima da edifici non residenziali e/o utilizzati per attività produttive, fuori dal limite dell’ambito urbano previsto dai regolamenti urbanistici redatti ai sensi della L.R. n. 23/99, pari a 200 m, previa verifica di compatibilità acustica. Distanze inferiori sono ammesse per edifici adibiti a stoccaggio materiali ove non vi sia presenza di persone e/o animali;
d) Per i punti di cui alle lett. b) e c) le distanze possono essere ridotte nel caso i titolari o aventi la disponibilità degli edifici siano favorevoli. Restano fermi i vincoli di compatibilità acustica imposti dalla normativa vigente e la verifica dell’assenza di effetti di Shadow-Flikering in prossimità degli edifici;
e) Distanza minima da autostrade e strade statali di 400 m;
f) Distanza minima di 100 m dalle strade provinciali e comunque non inferiore alla distanza di sicurezza calcolata per singolo aerogeneratore;
g) E’ inoltre necessario nella progettazione, con riferimento al rischio sismico, osservare quanto previsto dall’Ordinanza n. 3247/03 e sue successive modifiche e, con riferimento al rischio idrogeologico, osservare le prescrizioni previste dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) delle competenti Autorità di Bacino.
Ai fini della sicurezza deve essere elaborato un apposito studio sulla gittata massima degli elementi rotanti nel caso di rottura accidentale.
Il progetto definitivo dell’impianto deve contenere uno Studio Anemologico, effettuato da società certificata e/o accreditate, correlato alle dimensioni del parco e della durata di almeno un anno.
Le rilevazioni anemologiche devono rispettare i seguenti requisiti minimi:
a) Presenza di almeno una torre anemometrica nel sito con documentazione comprovante l’installazione.
b) La torre anemometrica deve essere installata seguendo le norme IEC 61400 sul posizionamento dei sensori e sulle dimensioni caratteristiche delle diverse parti che compongono la torre medesima.
c) I sensori di rilevazione della velocità del vento devono essere corredati da certificato di calibrazione non antecedente a 3 anni dalla data di fine del periodo di acquisizione.
d) Deve essere fornito un certificato di installazione della torre rilasciato dal soggetto incaricato dell’installazione, completa dei sensori e del sistema di acquisizione, memorizzazione e trasmissione dati. Devono inoltre essere forniti i rapporti di manutenzione della torre.
e) Periodo di rilevazione di almeno 1 anno di dati validi e consecutivi (è ammessa una perdita di dati pari al 10% del totale); qualora vi sia stata una perdita di dati superiore al 10% ma inferiore al 20% del totale è facoltà del richiedente adottare una delle due strategie seguenti: considerare il periodo mancante alla stregua di un periodo di calma ed includere tale periodo nel calcolo dell’energia prodotta; estendere il periodo di acquisizione fino al raggiungimento di misurazioni che per un periodo consecutivo di un anno presentino una perdita di dati non superiore al 10% del totale. Qualora i dati mancanti fossero in numero maggiore al 20% del totale, il periodo di monitoraggio dovrà estendersi ad un totale di almeno 2 anni o, in alternativa, i dati mancanti potranno essere acquisiti da stazioni di rilevamento prossime alle aree d’intervento e con le ca.
f) I dati sperimentali acquisiti dovranno essere forniti alla presentazione del progetto nella loro forma digitale, originaria ed in forma aggregata con periodicità giornaliera, in un formato alfanumerico tradizionale (ascii o xls). La Pubblica Amministrazione si impegna ad utilizzare i dati anemologici forniti dal proponente per i soli fini istituzionali.
g) Devono essere fornite le incertezze totali di misura delle velocità rilevate dai sensori anemometrici utilizzati per la stima della produzione energetica.
h) Nella documentazione tecnica dovrà essere riportato un calendario dettagliato delle acquisizioni fatte da ciascun sensore nei 12 mesi minimi di rilevazione, insieme all’elenco delle misure ritenute non attendibili.

BASILICATA PIANO ENERGETICO. LA STRATEGIA: NO AL NUCLEARE /3

Qui una lunga pernacchia ai francesi e ai loro EPR, da notare:
Il rapporto congiunto IAEA – NEA (2008) stima che le risorse di uranio “ragionevolmente sicure” ammontano a 3,3 milioni di tonnellate. Se aggiungiamo a queste le “risorse stimate” si arriva a 5,5 milioni di tonnellate. Considerando che il consumo attuale di uranio per far funzionare le 439 centrali nucleari è di circa 70 mila tonnellate anno, possiamo stimare un utilizzo per almeno 50 – 80 anni ancora.
In questa situazione di scarsità della risorsa uranio nel mondo, una nazione legata all’utilizzo dell’uranio avrebbe seri problemi di dipendenza energetica.
La produzione di energia nucleare, oltre a non risolvere alcune importanti questioni aperte in particolare sulla sicurezza, genererebbe uno “sviluppo distorto” del territorio regionale.
Ca..o finalmente lo hanno capito!!!

PIANO ENERGETICO. LA STRATEGIA: NO AL NUCLEARE /3

(AGR) - In generale, le finalità del PIEAR sono quelle di garantire un adeguato supporto alle esigenze di sviluppo economico e sociale attraverso una razionalizzazione dell’intero comparto energetico ed una gestione sostenibile delle risorse territoriali.
Le priorità di intervento afferiscono al risparmio energetico, al settore delle fonti energetiche rinnovabili – favorendo principalmente la “generazione distribuita” dell’energia elettrica nell’ambito dell’autoproduzione e l’utilizzo delle biomasse per la produzione di energia termica – ed infine al sostegno della ricerca e dell’innovazione tecnologica, con particolare riferimento alla produzione di componentistica innovativa nel campo dell’efficienza energetica.
In considerazione delle caratteristiche del territorio regionale, della vocazione economica e dello sviluppo delle risorse energetiche da esse ricavabili, l’ipotesi di produrre o impiegare l’energia nucleare non è compresa nelle ipotesi di sviluppo del sistema energetico della Regione Basilicata, non è altresì ritenuta possibile l’ipotesi che alcuna parte del territorio regionale possa ospitare un deposito di scorie nucleari anche superficiale, che accolga rifiuti nucleari provenienti da alcuna altra parte di Italia o del mondo.
Tale scelta è supportata da una notevole esperienza delle problematiche sia tecniche che sociali connesse al nucleare, maturata nel territorio della Basilicata, sia in relazione alle pluriennali problematiche connesse alla gestione di Itrec in Trisaia a Rotondella (MT), che in relazione alla scelta operata dal Governo con il Decreto del 14 novembre 2003 n. 314 di realizzare un deposito di scorie nucleari di III categoria a Terzo Cavone in Scanzano J.co.
La scelta assunta è conseguente alla sussistenza di problemi intrinseci legati allo sviluppo della tecnologia nucleare, in particolar modo per la presenza di difficoltà legate: alla garanzia per la sicurezza della salute dei cittadini; alla creazione di uno sviluppo che concili con le peculiarità e le ipotesi di valorizzazione delle risorse del nostro territorio; all’assenza di un quadro normativo nazionale che disciplini le procedure autorizzative, sospeso in seguito al referendum del 1987; alla remota ipotesi che il rilancio globale dell’energia nucleare ridurrebbe i costi energetici le emissioni di CO2 e i problemi della dipendenza energetica.
In seguito alla conversione del Decreto “Scanzano” con la legge n. 368 del 2003, il legislatore non ha adottato una decisione politica per la messa in sicurezza dei rifiuti nucleari. Successivamente il Governo ha cercato di intraprendere un percorso concertato di individuazione del sito unico, attraverso il DM del 25 Febbraio 2008 del Ministro dello Sviluppo Economico con l’istituzione di un gruppo di lavoro per l’individuazione della tipologia, delle procedure e della metodologia di selezione dirette alla realizzazione, su un sito del territorio nazionale, di un centro di servizi tecnologici e di ricerca ad alto livello nel settore dei rifiuti radioattivi. Anche in questa occasione la Regione Basilicata, attraverso la nota nel verbale di chiusura del componente tecnico di nomina regionale, ha ribadito che in nessun caso si potrà pervenire alla scelta del sito di ubicazione del sito unico nazionale di stoccaggio delle scorie radioattive, prescindendo dall’autocandidatura di un territorio, che fosse formulata dal Governo regionale di quel territorio stesso.
Attualmente (marzo 2009) la decisione di riaprire le centrali nucleari e la ricerca di una procedura per l’individuazione di un deposito per la messa in sicurezza dei rifiuti, nonostante la forte volontà del Governo è ferma nella X Commissione Industria del Senato dove è in discussione il ddl AS n.1195 sulle “disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazioni delle imprese, nonché in materia di energia”.
La presenza nel centro della Trisaia in Rotondella di attività nucleari legate al riprocessamento del ciclo uranio-torio, richiede un’attenzione costante da parte del Governo della Regione Basilicata affinché vengano garantiti gli obiettivi della massima sicurezza per la salute dell’ambiente e raggiunta la condizione di prato verde. Attraverso alcuni interventi tra i quali il Tavolo della Trasparenza e le diverse azioni di monitoraggio, la Regione è impegnata al raggiungimento degli obiettivi.
Il rapporto congiunto IAEA – NEA (2008) stima che le risorse di uranio “ragionevolmente sicure” ammontano a 3,3 milioni di tonnellate. Se aggiungiamo a queste le “risorse stimate” si arriva a 5,5 milioni di tonnellate. Considerando che il consumo attuale di uranio per far funzionare le 439 centrali nucleari è di circa 70 mila tonnellate anno, possiamo stimare un utilizzo per almeno 50 – 80 anni ancora.
In questa situazione di scarsità della risorsa uranio nel mondo, una nazione legata all’utilizzo dell’uranio avrebbe seri problemi di dipendenza energetica.
La produzione di energia nucleare, oltre a non risolvere alcune importanti questioni aperte in particolare sulla sicurezza, genererebbe uno “sviluppo distorto” del territorio regionale. Pertanto, considerando la volontà della Regione di voler sviluppare e valorizzare le risorse del territorio per profondere lo sviluppo sostenibile della regione Basilicata, l’ipotesi nucleare non è considerata tra le scelte di generazione energetica possibili.

BASILICATA APPROVATO DALLA GIUNTA IL PIANO ENERGETICO REGIONALE /1

Da Basilicatanet.it, fra un pò pubblico il resto.....

22/04/2009 16.25.37
[Basilicata]

(AGR) - Nel corso di una conferenza stampa, il Presidente Vito De Filippo e la Giunta Regionale hanno illustrato il Piano di Indirizzo Energetico Ambientale, approvato oggi dall’Esecutivo. Il Piano contiene la strategia energetica della Regione Basilicata da attuarsi fino al 2020. L’intera programmazione ruota intorno a quattro macro-obiettivi: riduzione dei consumi e della bolletta energetica; incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; incremento dell’energia termica da fonti rinnovabili; creazione di un distretto energetico in Val d’Agri. (SEGUE)
PIANO ENERGETICO. GLI OBIETTIVI /2

(AGR) - L’intera programmazione relativa al comparto energetico, delineata dal PIEAR ruota intorno a quattro macro-obiettivi:
1. riduzione dei consumi energetici e della bolletta energetica;
2. incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili;
3. incremento della produzione di energia termica da fonti rinnovabili;
4. creazione di un distretto energetico in Val d’Agri.

La Riduzione dei consumi energetici e della bolletta energetica.

La Regione intende conseguire, dati gli obiettivi fissati dall’UE e dal Governo italiano, un aumento dell’efficienza energetica che permetta, nell’anno 2020, una riduzione della domanda di energia per usi finali della Basilicata pari al 20% di quella prevista per tale periodo.
Le azioni previste dal Piano riguardano prevalentemente l’efficientamento del patrimonio edilizio pubblico e privato ed alcuni interventi nel settore dei trasporti. Particolare attenzione sarà rivolta alla riduzione dei consumi di energia elettrica, incentivando l’impiego di lampade e sistemi di alimentazione efficienti, ed intervenendo sugli azionamenti elettrici, sull’efficienza dei motori elettrici e, più in generale, sugli usi elettrici in industria ed agricoltura. Sono anche contemplate la generazione e la cogenerazione distribuita, che, pur non contribuendo propriamente alla riduzione della domanda di energia per usi finali, permettono apprezzabili riduzioni dei consumi di energia primaria e dei costi energetici.



L’Incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

L’incremento della produzione di energia, finalizzato al soddisfacimento del fabbisogno interno, assume un ruolo essenziale nella programmazione energetica ed ambientale, anche in considerazione delle crescenti problematiche legate all’approvvigionamento energetico. Peraltro, in considerazione delle necessità di sviluppo sostenibile e salvaguardia ambientale, è auspicabile un ricorso sempre maggiore alle fonti rinnovabili.
Sulla base di queste considerazioni, anche in relazione alle potenzialità offerte dal proprio territorio, la Regione Basilicata intende puntare al soddisfacimento dei fabbisogni interni di energia elettrica esclusivamente attraverso il ricorso ad impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Più nel dettaglio, con il presente PIEAR, la Regione Basilicata si propone di colmare il deficit tra produzione e fabbisogno di energia elettrica stimato al 2020, indirizzando significativamente verso le rinnovabili il mix di fonti utilizzato. In altre parole l’obiettivo da raggiungere consiste nell’assicurare una produzione che, seppur naturalmente caratterizzata da una certa discontinuità, consenta localmente un approvvigionamento energetico in linea con le necessità di sviluppo ed i consumi locali. Per il conseguimento di questo obiettivo, inoltre, è previsto il supporto di azioni finalizzate all’eliminazione delle criticità presenti sulla rete elettrica, nonché alla semplificazione delle norme e delle procedure autorizzative.
Attualmente il sistema elettrico regionale sconta una condizione di deficit di produzione rispetto ai fabbisogni interni pari al 51% (Terna, 2007).
Nei prossimi anni il fabbisogno di energia elettrica è destinato a crescere fino ad un valore di circa 3.800 GWh/anno (329 ktep/anno). Ipotizzando che dal 2008 al 2020 non si registri alcun incremento della produzione interna di elettricità, è possibile stimare un deficit di produzione, per l’anno 2020, pari a 2.300 GWh/anno (197 ktep/anno), che costituisce proprio l’obiettivo di incremento della produzione di energia elettrica.
L’incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sarà perseguito, in accordo con le strategie di sviluppo regionale, puntando su tutte le tipologie di risorse disponibili sul territorio, secondo la ripartizione riportata in tabella.


Fonte energetica Ripartiz. (%) Energia Prodotta (GWh/anno) Rendimento Elettrico (%) Ore equivalenti di funzionamento (h) Potenza Installabile (MWe)
Eolico 60 1374 70 2000 981
Solare fotovoltaico 20 458 85 1500 359
Biomasse 15 343 85 8000 50
Idroelettrico 5 114 80 3000 48
TOTALE 100 2289 1438

Per quanto riguarda la produzione di energia da biomassa, si intende promuovere la realizzazione di impianti per la produzione combinata di energia elettrica e termica, privilegiando gli impianti di piccola taglia.
Entro il 2015 si prevede di raggiungere una produzione pari al 40% del valore complessivo riportato in Errore. L'origine riferimento non è stata trovata., corrispondente a 916 GWh/anno (ovvero 79 ktep/anno), per una potenza installata di poco più di 575 MW. La restante parte, 1.374 GWh/anno (118 ktep/anno), sarà progressivamente coperta nel corso del periodo 2016-2020.
Nel computo dell’incremento di produzione è esclusa l’energia derivante da impianti per autoproduzione, da iniziative della SEL e del Distretto Energetico, corrispondente ad una potenza complessiva stimabile in circa 250 MW.
Gli impianti saranno realizzati in modo da assicurare uno sviluppo sostenibile e garantire prioritariamente il soddisfacimento dei seguenti criteri:
? Rispondenza ai fabbisogni energetici e di sviluppo locali;
? Massima efficienza degli impianti ed uso delle migliori tecnologie disponibili;
? Minimo impegno di territorio;
? Salvaguardia ambientale.
Si prevede, a tal fine, l’introduzione di standard qualitativi per la progettazione, la realizzazione, la gestione e la dismissione degli impianti di produzione .

Potenziamento e razionalizzazione delle linee di trasporto e distribuzione dell’energia.

A fronte degli innumerevoli vantaggi dal punto di vista economico, sociale ed ambientale, l’auspicato aumento della produzione di energia elettrica aggraverà ulteriormente le criticità già attualmente presenti sulla rete di trasmissione e distribuzione. Per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico regionale e migliorare la qualità del servizio per cittadini ed imprese, sarà pertanto necessario operare sul potenziamento, efficientamento e razionalizzazione della rete elettrica primaria e secondaria lucana. Questo obiettivo si pone in linea con il Libro Verde della Commissione Europea del 13/11/2008 (“Verso una rete energetica sicura, sostenibile e competitiva”), che conferisce allo sviluppo delle reti un ruolo importante della politica energetica, già contemplata nel Reg. CE n. 680 del 20 giugno 2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea.
In particolare, per garantire il collegamento degli impianti di potenza superiore a 10MW, saranno richiesti interventi sulla rete di trasporto ad alta tensione, di competenza Terna. A tal fine la Regione ha già promosso Protocolli d’Intesa con Terna e le Regioni meridionali, finalizzati rispettivamente alla sperimentazione della V.A.S. di piani e programmi di sviluppo della rete sul territorio regionale, ed alla valutazione condivisa dei Piani di Sviluppo della rete Terna.
Per quanto riguarda gli impianti di potenza inferiore, invece, sarà necessario intervenire sulle reti di distribuzione a media e bassa tensione, principalmente gestite da ENEL Distribuzione. In questo caso, saranno intraprese iniziative analoghe a quelle già formalizzate con Terna.
In definitiva, tutti gli interventi avranno come scopo principale quello di sviluppare delle reti in grado di trasportare e distribuire l’elettricità in modo efficiente e razionale, di gestire i flussi di energia prodotta dai singoli impianti di produzione da fonti rinnovabili, ma anche di favorire lo sviluppo della generazione distribuita. Il conseguimento di questo obiettivo imporrà il ricorso a tecnologie innovative ed a sistemi di controllo informatici sulle reti di trasmissione e distribuzione (secondo un modello simile a quello della rete internet), al fine di migliorare la gestione dei flussi energetici. In questo senso è auspicabile un’interazione con la piattaforma di ricerca europea dedicata alle reti intelligenti (“smart grids”), di recente istituzione, finalizzata anche all’implementazione di progetti pilota sul territorio regionale.


Semplificazione amministrativa ed adeguamento legislativo e normativo.

Le innovazioni introdotte dalle recenti modifiche della legislazione nazionale hanno determinato un progressivo decentramento delle funzioni amministrative, tali per cui alle Regioni è demandato il compito di pianificare le strategie energetiche da attuare nei propri territori, in linea con la normativa europea e con gli altri strumenti di programmazione territoriale. Fra le funzioni assegnate assume un ruolo centrale l’emanazione di normative che consentono la semplificazione del procedimento autorizzatorio per la realizzazione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia derivante da fonti rinnovabili.
In particolare, in attuazione delle disposizioni concernenti il procedimento di “autorizzazione unica” (D.lgs. n.387/03), la Regione Basilicata procederà all’armonizzazione delle normative nazionali e regionali con propria legge regionale. La stessa dovrà considerare anche le disposizioni contemplate dalla legislazione ambientale (D.lgs. n.152/06 e.s.m.i.), paesaggistica (D.lgs. n.42/04) e, più in generale, dalla normativa sul procedimento amministrativo (L. n.241/90).
Siffatta normativa prevederà, inoltre, procedure differenziate a seconda della potenza dell’impianto: particolare attenzione sarà rivolta agli impianti di produzione energetica di piccola taglia (anche fino ad 1 Mw di potenza) alimentati da fonti rinnovabili, per i quali sarà messa a punto una procedura semplificata.
La diretta conseguenza di questo processo sarà quella di agevolare gli investitori pubblici e privati nel conseguimento degli obiettivi contenuti all’interno del presente documento.


Produzione di energia termica da biomasse e biocombustibili.

Parallelamente all’incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, si ritiene importante realizzare interventi al fine di potenziare l’utilizzo di biomasse legnose e biocombustibili per la produzione di energia termica.
Si intende promuovere l’utilizzo di sistemi energetici e generatori di calore alimentati con biomasse lignocellulosiche provenienti dalla gestione del patrimonio boschivo e dai comparti agricolo, zootecnico e industriale locali, secondo le disponibilità e le modalità indicate nella parte I del presente Piano.

Realizzazione di un Distretto energetico in Val d’Agri.

Nella convinzione che finanza, ricerca e sistema industriale siano fattori che debbano interagire per dare impulso allo sviluppo di nuove ed avanzate tecnologie, in particolare nel settore energetico, in coerenza con le indicazioni contenute nella Deliberazione CIPE n. 166 del 21 dicembre 2007 “Attuazione del Quadro Strategico Nazionale (QSN) 2007-2013: Programmazione del Fondo per le Aree Sottoutilizzate”, la Regione persegue l’obiettivo di promuovere la realizzazione di un Distretto energetico in Val d’Agri, avente i seguenti fini:
• lo sviluppo di attività di ricerca, innovazione tecnologica in campo energetico, coinvolgendo a tal fine le eccellenze regionali, a partire dall’Università degli Studi della Basilicata CNR, ENEA, Agrobios, Fondazione Mattei etc.;
• creazione di un centro permanente di formazione ed alta formazione mediterranea sui temi dell’energia, in stretta collaborazione con ENEA, Fondazione Mattei ed i centri di ricerca presenti sul teritorio regionale. La formazione sarà rivolta agli installatori e manutentori di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, l’alta formazione ai progettisti ed ai ricercatori del settore;
• l’insediamento nell’area di imprese innovative specializzate nella produzione di materiali innovativi, impiantistica e componentistica per il miglioramento dell’efficienza energetica degli usi finali, sia in campo civile, sia nel settore produttivo;
• l’attivazione di filiere produttive incentrate sull’adozione di tecnologie innovative per la produzione di energia, con particolare riferimento alle fonti rinnovabili e alla cogenerazione;
• realizzazione di impianti innovativi e sperimentali per la produzione di energia da fonti rinnovabili, per la tri-quadrigenerazione, con il diretto coinvolgimento di Enti di ricerca (Università, ENEA, Agrobios, CNR, ecc.), Enti locali e, ove necessario, di grandi operatori del settore, anche attraverso gli strumenti della programmazione negoziata;
• svolgimento di attività di ricerca e di sperimentazione sulla produzione di biocarburanti a partire da matrice lignocellulosica, e sulla definizione di idonei sistemi per il contenimento delle emissioni di particolato solido e delle altre sostanze dannose prodotte dalla combustione di biomassa;
• attività di formazione nel settore energetico e trasferimento tecnologico alle PMI locali;
• realizzazione di un parco energetico (denominato Valle dell’energia) finalizzato ad evidenziare le più avanzate tecnologie nel settore delle fonti energetiche rinnovabili e dell’efficienza energetica (anche con la realizzazione di un edificio dimostrativo ad emissioni zero ed energeticamente autosufficiente).
Il distretto sarà inoltre inserito nella costituenda rete dei distretti energetici nazionali per sviluppare progetti ed iniziative in rapporto sinergico con le altre regioni partner.


Promozione di attività di formazione e di trasferimento tecnologico.

In accordo con le linee indicate a livello europeo e nazionale, si intende promuovere attività di formazione a vari livelli e favorire il trasferimento tecnologico verso le imprese regionali.
Per quanto riguarda le attività di formazione, esse saranno rivolte sia a bambini e ragazzi in età scolare, sia ad adulti e famiglie, al fine di educare al rispetto dell’ambiente e ad un uso sostenibile ed efficiente delle risorse naturali e dell’energia. Sono previsti inoltre percorsi di alta formazione e specializzazione su tematiche specifiche in ambito energetico, rivolti a tecnici e laureati operanti nel settore.
Particolare importanza rivestono le ricadute in ambito industriale, in quanto si prevede di poter dare impulso alla nascita ed allo sviluppo di attività imprenditoriali e produttive legate allo sviluppo di competenze nella gestione delle filiere energetiche e degli impianti di produzione, alla produzione di componenti e sistemi ed alla progettazione di tecnologie e prodotti ad alto contenuto tecnologico. Si intende quindi favorire attività di trasferimento tecnologico dagli enti di ricerca e di sviluppo coinvolti nelle azioni definite dal presente Piano alle aziende locali.

Piano energetico regionale della Basilicata

Di seguito l'articolo apparso su Basilicatanet
Da notare le seguenti frasi:
De Filippo si è quindi soffermato sul nucleare e sul petrolio. “Con questo piano – ha detto il presidente della Regione – chiudiamo definitivamente la porta alla produzione di energia attraverso impianti nucleari”
ok ok ok!poi:
il Piear, in relazione alle fonti rinnovabili impone una scelta di qualità. Ad esempio, per gli impianti eolici è prevista, fino al 2020, una produzione massima di energia di 981 Mwe e potranno essere istallati solo in zone non sensibili dal punto di vista ambientale, paesaggistico e culturale.
ok ok ok! addirittura meglio dell'ANEV che stimava il potenziale lucano in 760MW!!!!

aspetto di leggere meglio il documento....



DE FILIPPO: CON IL PIEAR SOSTEGNO A IMPRESE E FAMIGLIE

(AGR) - “Dare un impulso allo sviluppo economico e produttivo del territorio e ridurre la spesa per l’energia delle famiglie lucane sono i principali obiettivi del Piear, il Piano di indirizzo energetico ambientale”. Lo ha detto il presidente della Regione, Vito De Filippo, nel corso di una conferenza stampa svoltasi oggi alla presenza della Giunta regionale. Ai giornalisti il presidente De Filippo ha illustrato i contenuti del documento approvato dall’esecutivo nella seduta odierna.
“Abbiamo impiegato un po’ di tempo in più rispetto alle aspettative – ha aggiunto De Filippo - perché il tema dell’energia e degli effetti concreti per le famiglie e per le imprese è piuttosto complesso, non essendoci nel Paese, fra l’altro, esperienze simili da prendere a modello e a causa di una normativa nazionale che è in continua evoluzione”.
“Il piano – ha aggiunto il presidente – si muove in sintonia con tutte le scelte programmatiche che il governo regionale ha adottato in materia di difesa dell’ambiente e di sostenibilità”.
Tre i macro-obiettivi del documento: il risparmio energetico, la produzione da fonti rinnovabili, la realizzazione del distretto energetico nella Val D’Agri.
“Intendiamo colmare il deficit di produzione energetica della Basilicata, pari, secondo Terna, al 51 percento rispetto ai fabbisogni interni, attraverso l’uso di fonti rinnovabili, dall’eolico al solare fotovoltaico, alle biomasse all’idroelettrico”.
De Filippo si è quindi soffermato sul nucleare e sul petrolio. “Con questo piano – ha detto il presidente della Regione – chiudiamo definitivamente la porta alla produzione di energia attraverso impianti nucleari”. Mentre, sul petrolio “avvieremo un approfondimento per una nuova strategia e un nuovo modello di relazioni con le compagnie petrolifere sapendo che su questo tema la competenza è quasi tutta in mano allo Stato”. In questo senso “il distretto energetico della Val D’Agri non riguarderà solo lo sfruttamento del petrolio, ma dovrà anche creare le condizioni per incentivare gli insediamenti di imprese che operano in questo settore”.
Inoltre, il Piear, in relazione alle fonti rinnovabili impone una scelta di qualità. Ad esempio, per gli impianti eolici è prevista, fino al 2020, una produzione massima di energia di 981 Mwe e potranno essere istallati solo in zone non sensibili dal punto di vista ambientale, paesaggistico e culturale.
“Insomma – ha continuato De Filippo – non solo puntiamo molto sulle fonti rinnovabili, ma puntiamo su fonti rinnovabili di qualità”.
L’assessore regionale alle Attività produttive, Gennaro Straziuso, ha detto che “questo piano arriva da lontano ed è il risultato di un ampio approfondimento al quale hanno dato il loro contributo il Gse, l’Università, l’Enea e diversi altri centri di ricerca”. Straziuso, in particolare, si è soffermato sull’articolazione del Piear: “Il primo capitolo descrive il quadro normativo europeo, nazionale e le disponibilità regionali; il secondo capitolo, invece, fa una proiezione del consumi energetici fino al 2020 che dovrebbero aumentare del 18 percento; la terza parte del piano definisce gli obiettivi e gli attori coinvolti”.
L’assessore regionale all’Ambiente, Vincenzo Santochirico, ha sottolineato come questo Piano “punti all’autosufficienza solo partendo dalle fonti rinnovabili”. In particolare, “intendiamo arrivare fino al 2020 capovolgendo gli attuali parametri raggiungendo il 70 percento di produzione energetica da fonti rinnovabili e il 30 percento dalle fonti tradizionali”. “Non è un caso – ha aggiunto Santochirico – che la difesa dell’ambiente sia una delle priorità di questo piano”. Santochirico, inoltre, ha evidenziato come il Piear “semplifichi le procedure per i mini impianti e accompagni quelle dei grandi impianti di produzione con modelli trasparenti ed a alta tutela ambientale”.

I sottopassaggi di Santa Maria e Rione Mancusi (comune di Potenza)

Forse finisce l'incubo...
Potenza, un piano
per rione Mancusi

P OT E N Z A - Far passare la metropolitana, nella speranza di ridurre il traffico quando i cittadini impareranno ad usarla e lasciare l’auto a casa, o far circolare liberamente le auto, per evitare le lunghe code strombazzanti che si creano quando passa il «trenino»? Il dilemma a Potenza si è posto da subito quando si è deciso di utilizzare la rete ferrata delle Ferrovie Appulo Lucane anche per gli spostamenti interni alla città.

Quei passaggi di treni aumentati (soprattutto in fase sperimentale) producevano lo spiacevole «effetto collaterale» di bloccare le auto ai passaggi a livello, tanto che la «fese definitiva » della metropolitana (un po’ per la mancanza di viaggiatori, un po’ per limitare questi disagi) ha previsto una riduzione del numero delle corse.

Un gruppo di progettisti, tuttavia, si è armato di buona volontà e in modo totalmente autonomo ha lavorato per individuare un piano di sottopassi (del costo stimato di circa 2 milioni e 200mila euro) che consenta l’eliminazione dei passaggi a livello con la conseguente possibilità di effettuare quante corse si vuole senza interferire con la circolazione delle auto.

Il piano, presentato l’altra sera al Circolo Angilla Vecchia di Enzo Fierro è stato realizzato dai tecnici della «3DLi- Fe» gli ingegneri Emanuele Festa, Lucio Lisanti e Antonio Sarricchio e si concentra in particolare sulla viabilità dei quartieri Mancusi-Risorgimento ed in particolare degli snodi viari di Via Roma, Via Angilla Vecchia e Via Calabria, dove, all’altezza delle intersezioni asfalto-binari, ipotizza la realizzazione, a ppunto di sottopassi.

«Tra tutte le possibili soluzioni - spiegano i progettisti - quella dei sottopassi è sicuramente quella con il minore impatto sia dal punto di vista ambientale ma soprattutto dal punto di vista della fattibilità economica». Sarebbe invece impensabile spostare il tracciato o realizzare l’interramento della linea metropolitana. g.riv.





martedì 7 aprile 2009

Il riscaldamento elettrico della casa

Il riscaldamento elettrico della casa

di Luigi Ruffini (*)

copio e incollo prima che uno dei migliori post che ho letto quest'anno sparisca di nuovo.L'originale è sul sito di ASPO Italia



klimahouse2005

Per esporre i sistemi elettrici bisogna che prima venga prima analizzato il sistema classico, onde poter evidenziare i limiti di questo e le potenzialità dei sistemi descritti di seguito.

I sistemi di riscaldamento tradizionali sono realizzati principalmente usando il principio della convezione. Il sistema è composto da una caldaia che brucia generalmente a gas metano ad una temperatura intorno ai 1500 gradi centigradi. L’acqua a questo punto raggiunge una temperatura che, generalmente, si attesta sui 70 gradi. Da qui la pompa della caldaia spinge il liquido caldo verso il collettore (o i collettori nel caso di impianto a più zone), da dove vengono distribuite a stella le tubazioni di andata e ritorno sui vari ambienti.

A questo punto nei locali si possono ottenere due soluzioni classiche: termosifoni (ghisa o acciaio) o termoconvettori. Questi ultimi generalmente vengono adottati in caso di ambienti grandi, quindi difficilmente scaldabili se non con molti termosifoni tradizionali, che però “tappezzerebbero” letteralmente le pareti con risultati estetici non molto graditi.

I termoconvettori sono dotati di ventole che accellerano il ricambo d’aria fredda con quella calda, a prezzo di una temperatura in uscita però maggiore, intorno agli 80 gradi.

In entrambi i casi l’aria a questo punto diventa il veicolo che ci consente di percepire il caldo. Un termosifone non raggiunge quasi mai i 70 gradi. Tra l’uscita della caldaia e il collettore già si ha una forte dispersione (che ricordo è sempre maggiore in relazione diretta con la temperatura, quindi maggiore è la temperatura di un corpo, maggiore è la sua capacità dispersiva), che aumenta con la distribuzione successiva verso i radiatori.

Il termosifone nel migliore dei casi non raggiunge i 60 gradi, per scaldare l’aria che, però, essendo ora più leggera, tenderà a salire verso la parte alta delle stanze.

Insomma si scalda prima il soffitto, poi, man mano che l’aria fredda scande, si scalda a sua volta e risale, creando appunto il movimento convettivo.

Gli ambienti hanno sempre punti più freddi o più caldi, e non sono mai confortevoli in modo uniforme; spesso sono troppo caldi e si ha l’impressione di non riuscire a respirare bene. Anche parzializzando l’accensione dell’impianto non si ha granchè di risparmio.

A parità di temperatura con 15 mc al giorno su 130 mq, scaldandone (chiudendo circuiti per un equivalente del 50% della metratura) il consumo per metro cubo si riduce al 70% del precedente, poco meno di 10mc al giorno. Il perché è semplice: gran parte del consumo si ha semplicemente perché “la caldaia è accesa”, ed il circuito, fino al collettore, disperde parte dell’energia termica.

Su questi sistemi si è detto di tutto e di più: che creano circolazione di polvere, che sono nocivi per chi soffre di asma e allergie, che sono poco efficienti (1500 gradi in combustione per avere si e no 19 gradi ambiente in effetti…), rimane la cruda realtà che tutt’ora sono di gran lunga i più usati. E non certo per motivi di costo.

Occorre anche analizzare la tipologia di installazione e di uso di questi sistemi. Come si sa, programmare l’accensione a singhiozzo durante la giornata e la serata forse può permettere di risparmiare sulla bolletta, ma crea tutta una serie di conseguenze raramente vengono analizzate con cura. Proverò a dare qualche esempio.

Inanzitutto la muratura (principalmente quella perimetrale) di una stanza scarsamente riscaldata essendo composta da laterizio e cemento, tenderà a raffreddarsi. Con l’accensione del riscaldamento inizialmente si comporterà “come una spugna” assorbendo il calore dall’aria, che circolerà fredda. La frase “sento l’aria fredda” dentro le case ormai è un classico. Tutti pensano alle finestre, ma se sono in buone condizioni il problema è derivato dal moto convettivo. Quindi per tempi che vanno dai pochi minuti a qualche ora con il gas si scaldano i muri, ed intanto si battono i denti…Nella case vecchie a pietra questo succede praticamente sempre. Le pietre fanno da ponte termico “assorbendo” il calore ed il contenuto del portafogli del proprietario. In questo caso almeno, si recupera d’estate con la frescura (derivata dall’accumulo enorme di umidità durante il periodo invernale). Per il resto sono solo dolori.

C’è poi il problerma della condensa. Essendo la formazione di questa direttamente legata alla temperatura è ovvio che con un continuo saliscendi di questa si avrà formazione di condensa su muri e finestre. Particolarmente gradita la relativa formazione di muffa sopra gli infissi, che le signore si ostinano ad asportare con la varechina, che a sua volta però rovina la pittura….e la pazienza dei mariti che durante le vacanze devono provvedere…..

Il tutto ovviamente pagando bollette in vertiginoso aumento. E stando al fresco.

Negli ultimi 20 anni, progressivamente, si sono inseriti i sistemi sottopavimento. Qui ci sono altre considerazioni da fare:

In un’abitazione questi sistemi sono di gran lunga i più confortevoli. Abbinati ad una caldaia a condensazione lavorano a bassa temperatura e devono essere tenuti accesi sempre, 24 su 24, dall’autunno alla primavera.

C’è anche chi per risparmiare tende a tenere le serpentine larghe (quindi con meno tubo) ma questo comporta un aumento della temperatura in caldaia con esponenziale aumento dei costi di gestione. Le serpentine devono essere quanto più strette possibile, in modo che la scarsa superficie dei tubi riesca a scaldare più agevolmente il massetto.

Questi sistemi hanno alcuni inconvenienti: costano di più nell’installazione, in gestione (costano meno a pari ore di funzionamento, ma lavorano più ore, e di conseguenza…), tendono a creare depositi calcarei nelle tubazioni, nonostante gli additivi forniti dalle aziende produttrici. In caso di settimana bianca conviene tenere l’impianto acceso, in quanto al ritorno passerebbe una giornata intera prima che la casa si sia riscaldata e l’energia dispersa per questa operazione sarebbe quasi equivamente a quella risparmiata

nella settimana di spegnimento. Questi sistemi generalmente non creano una convezione tale da impensierire per polveri, pollini ed acari.

Economicamente sia i sistemi di riscaldamento a pavimento che a termosifone vengono quantificati in € a mq, però in questo costo non sono mai inclusi atri costi di installazione che però sono pesanti, e precisamente:

Caldaia, canne fumarie, impianto gas, impianto scarico per caldaia, impianto elettrico per allacciamento, punti termostato, punti elettrovalvole.

Questi costi finiscono per far raddoppiare il preventivo. Ci sono poi bollettini annuali della provincia, abbonamento per il controlo fumi, e, dulcis in fundo, se si rovina una guarnizione della caldaia (€0,1) si ferma tutto.

Generalmente succede il Sabato pomeriggio…..

Il tutto sperando che Russia ed Ucraina si accordino (poi tra 20 anni amen, ma quest’ultimo concetto lo conosciamo bene, l’abbiamo sempre fatto!).

Tra le varie opportunità che ci offrono le nuove tecnologie a parere dello scrivente quella più promettente è certamente derivata dallo sviluppo dei sistemi elettrici.

C’è prima però da fare un distinzione tra i vari modi di riscaldare elettricamente, altrimenti si rischia di fare una certa confusione.

E’ opportuno non prendere neppure in considerazione le classiche stufette, quelle di varia forma e colore, che consumano energia a più non posso. Per scaldare un’ ambiente di 15 mq con 2000Watts si fa fatica. E neppure la gran parte delle Pompe di Calore (di seguito PDC), le quali, pur essendo concettualmente validissime, hanno evidenti limiti, che esporrò brevemente.

Inanzitutto lo scambio di calore è efficace sino ad una certa temperatura esterna, e precisamente intorno ai 5 – 7 gradi centigradi, ustata come riferimento per riportare i consumi elettrici. Sotto questa temperatura, (parliamo sempre di riscaldamento) nell’unità interna si attiva una banalissima resistenza elettrica (camuffata con il nome di “integrazione”) che consuma come le comuni stufette citate in precedenza, con costi di gestione superiori ai sistemi a GPL.

In assenza di questa resistenza gli ambienti sono sempre freddi.

Con le PDC con serpentina interrata o in un serbatoio di acqua la resa migliora drasticamente, in quanto il calore è facilmente recuperabile con pochissima energia. Le limitazioni di questa soluzione sono però dovute all’impossibilità di realizzazione nel caso di assenza di aree prediposte all’alloggiamento della serpentina.

Ma i nuovi (si fa per dire, girano da 10 anni…) sistemi sono decisamente più performanti: si tratta di pannelli o membrane con elementi conduttori che, all’attraversare della corrente, per effetto Joule, si scaldano in modo uniforme e, senza l’uso di ventilatori, irradiano il calore in modo diretto sotto forma di raggi infrarossi (ricordo che tutti i corpi caldi emettono infrarosso).

L’irraggiamento avviene in modo lineare, quindi non devono esserci ostacoli davanti ai pannelli (per le guaine è diverso perché scaldano il massetto, e solo indirettamente l’ambiente). Questi hanno misure di varia grandezza per consentuire un’alloggiamento praticamente ovunque.

L’emissione in IR consente di avere un consistente effetto deumidificatore. Nei bagni e cucine anche dopo aver fatto la doccia o scolato la pasta l’umidità sui vetri sparisce in poco tempo (generalmente un’ora) e non si hanno più fenomeni di condensa e muffa.

Ovvio che l’aerazione serve sempre, ma si può fare nelle ore centrali della giornata, quando la temperatura esterna è maggiore.

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Nell’immagine è mostrato un pannello da 500W di potenza, di dimensioni 33 x 180 cm.

Grazie alla larghezza contenuta questo modello può essere installato su un pilastro, quindi in posizione centrale di ambienti grandi. Con questo modello è possibile riscaldare tranquillamente un’ambiente di 8 -10mq.

L’irraggiamento di questo modello si percepisce chiaramente da 4 metri di distanza.

I pannelli emettono raggi infrarossi in tutte le direzioni, “saturando” l’ambiente che assume una temperatura uniforme anche in altezza. I termostati possono essere installati a 50 cm come a 2 metri ma leggono la medesima temperatura. Per ambienti alti sono eccellenti.

Le signore gradiscono la sensazione di calore alle gambe, che spesso nel gentil sesso sono fredde, proprio grazie alla “saturazione” degli ambienti.

Questa tecnologia non scalda l’aria. L’effetto è quello del Sole in una giornata invernale. L’aria è fredda ma al Sole si sta bene. Il nostro corpo con l’aria calda ha malessere (vedi l’estate); è del calore da irraggiamento che abbiamo bisogno, non dell’aria calda.

Sono due cose diverse.

Senza scaldare l’aria la dispersione degli ambienti crolla drasticamente. Stanze mal coibentate possono arrivare a ridurre i consumi oltre il 50%. Qualcuno dice anche più (basti pensare ai capannoni industriali, negozi ed uffici con grosse vetrate, Chiese).

Esistono anche versioni più rifinite. Ad esempio quello mostrato nella figura sotto è uno scaldasalviette che uso regolarmente nel mio bagno. Potenza 300W, con termostato incluso. Mi asciuga l’ambiente e riscalda efficacemente fino a 6 mq.

Un’ulteriore funzione di questi scaldasalviette è data dalla possibilità di programmare lo spegnimento in 30,60,90 e 120 minuti, così che, in caso di necessità, è possibile asciugare (anche biancheria, specie l’intimo) e spegnersi successivamente senza sprechi di energia elettrica.

Sono eccellenti come integrazione ai sistemi sottopavimento, che spesso sono sottodimensionati nei bagni a causa dell’impronta di vasche e docce che diminuiscono la superficie radiante, proprio nel locale che più necessita di calore.

Quando nevica ho notato che questo modello mi permette di evitare l’apertura della finestra a seguito di più docce consecutive, riuscendo a deumidificare l’ambiente completamente in poco più di due ore.

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In aggiunta ai modelli esterni ci sono le membrane sottopavimento. Queste sono veramente un prodotto eccellente. Robustissime, pratiche e sottili. Il modello esposto è riferito al mio campionario portabile. La guaina è lunga 10 metri e copre circa il 50% della superficie. Una volta alimentata (tensioni tra 5 e 20V) riesce a riscaldare facilmente 5 mq di ambiente. In realtà questo inverno l’ho disposta sopra il pavimento del mio ufficio per farla vedere ad alcuni clienti. Risultato: con il riscaldamento spento ha scaldato fino a Dicembre 2008 ben 10 mq. Il consumo è di 250W/h, verificato con una pinza amperometrica (1,05 Ampere). La potenza, per tutti i modelli, è relazionata alla tensione di rete.

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Un altro grande punto a favore di questi sistemi: lo spessore. Occorre contare 2 cm di isolante sotto (polistirene), la guaina (pochi millimetri, diciamo 5), il massetto (anche solo 1,5 cm), ed il pavimento (con la colla 1 cm). Totale 5cm, massimo 5,5.

E’ possibile rifare ex novo l’impianto di riscaldamento esistente semplicemente aggiungendo quello nuovo al vecchio, senza demolizioni. Una cosa impensabile fino a poco tempo fa. La guaina si può anche bucare, torcere, tirare, calpestare. Continua a funzionare anche se si taglia, ma per non più del 75% della sua larghezza.

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Il sistema è alimentato da un trasformatore toroidale, reperibile praticamente ovunque, alloggiato all’interno di una cassetta metallica dotata di un robusto coperchio.

La parte elettronica è ridotta all’essenziale e quindi gestisce solo il termostato ed eventuali guaine aggiuntive necessarie solo per ambienti sopra i 20 mq. Il sistema è assolutamente silenzioso.

Personamente preferisco realizzare l’impianto elettrico con linee dirette dal quadro elettrico (che assume a questo punto un’importanza vitale e viene realizzato in metallo con dimensioni anche di 72 moduli DIN) stanza per stanza, sezionate da magnetotermici differenziali per ogni ambiente. Consiglio anche l’uso di cavi schermati, in quanto guaine e pannelli hanno emissioni elettromagnetiche ampiamente sotto i limiti di legge, ed altrettanto è opportuno fare per le linee di alimentazione.

Coin questa soluzione spariscono caldaie, collettori, valvole di zona, canne fumarie, impianti a gas con le relative incombenze annuali quali bollettini alla Provicia ed abbonamenti per la verifica dei fumi. Per non parlare dei rischi (ormai purtroppo metabolizzati) derivati dall’avere in casa un gas esplosivo. Gli incidenti relativi sono ormai all’ordine del giorno.

Il dimensionamento si effettua in base all’ambiente di installazione. Sovradimensionamenti o sottodimensionamenti portano agli stessi effetti dei sistemi tradizionali.

Nel caso dei sottodimensionamenti il sistema, non riuscendo a raggiungere la temperatura impostata sui termostati, tende a rimanere sempre acceso. Il risultato è un costo di impianto inferiore ma consumi più alti uniti ad ambienti freddi.

Nel caso l’impianto venga sovradimensionato il costo di installazione ovviamente aumenta, ma, per contro, i tempi di risposta per il riscaldamento degli ambienti sono molto contenuti.

Ovviamente le tabelle utilizzate per i calcoli termici della legge 10/91 sono solo di riferimento per questi impianti. Occorre procedere con una base di 50W/mq con temperatura di progetto + 1°, e sovradimensionare in base alle condizioni ambientali.

Nel caso dei sottopavimento lo spessore dei massetti gioca un ruolo cruciale: massetti più spessi comportano un tempo di risposta maggiore, bilanciato da un’inerzia termica a circuito spento più lunga (effetto simile ai radiatori in ghisa).

Un massetto più sottile comporta le condizioni opposte: pronta risposta e riscaldamento più veloce, e raffreddamento altrettanto veloce (ma sempre in relazione alla coibentazione degli ambienti).

A parere dello scrivente la seconda ipotesi è da preferirsi, unita a cappotti esterni e vetri multicamera (minimo 3 vetri con Argon), in quanto il peso del massetto incide nel calcolo statico pesantemente, oltre a complicare la vita per l’altezza dei locali ai fini dell’abitabilità.

Contrariamente ai sistemi a gas è possibile prevedere i costi anticipatamente. I kw non sono eleatori come i mc di gas. Se un’abitazione richiede 5 kw/h per il riscaldamento, in una città con temperatura di progetto+1 avrà un consumo annuo intorno ai 6.000 – 6.500kWh annui. Se il kWh costa €0,22 iva inclusa il costo annuo di riscaldamento non supererà i 1400€, notte e giorno per 5 mesi abbondanti.

Questi dati sono stati ricavati dallo scrivente, sulla base delle installazioni effettuate e sono assolutamente affidabili. Essendo impiantista preferisco ragionare con il metodo di S. Tommaso, quindi mi affido poco (anche perché non di mia competenza) a calcoli generici su rendimenti, C.O.P. ecc, e più alla reale resa di ogni componente che installo.

Per questo posso confermare che la potenza di riferimento è 50W/mq, e che un soggiorno male isolato di 36 mq con vetrate con forte dispersione lo scorso inverno si scaldava agevolmente con 2.000W. con temperatura esterna di – 2° e 10 -12 ore di funzionamento giornaliere effettive nei due mesi più freddi e 4 - 5 ore giornaliere negli altri mesi. Il tutto con accensione impianto su tutta la giornata.

Una nota è relativa alla grande versatilità del prodotto: Nel Gennaio 2007 è stato riscaldato l’intero campo di calcio di un notissima squadra TOP di seria A. In rete è disponibile la lettera di apprezzamento della dirigenza della squadra.

Considerazioni:

Inutile dire che usando i sistemi di riscaldamento elettrico i consumi si sposterebbero dal gas all’elettricità. Tuttavia questa si può generare, mentre il gas no. Inoltre i pericoli derivanti dall’elettricità sono enormemente inferiori al gas. Nel periodo di maggior utilizzo vi è una parziale compensazione con l’aumento di produttività dell’idroelettrico (che ormai è attestato oltre il 20% della fabbisogno elettrico nazionale), che ha ancora ampi margini di potenziamento mediante la tecnologia degli impianti ad acqua fluente. Nelle annate nere (come nell’inverno 2006 – 2007, denominato l’anno senza inverno), la produzione idroelettrica ha comunque mantenuto un rispettabile 12% dovuto allo stop anticipato degli impianti, ma quell’anno il fabbisogno per riscaldamento è è stato notevolmente inferiore per lo stesso motivo. Nel mini idro, che lo scrivente ha avuto modo di seguire, il potenziale di sviluppo è largamente superiore alle aspettative.

Nel periodo estivo chi dispone di un impianto fotovoltaico può contribuire a compensare il calo idroelettrico per soddisfare le esigenze di condizionamento, garantendo una continuità della disponibilità elettrica ed accumilando gran parte dei kw necessari nel periodo invernale per riscaldare casa.

L’energia necessaria ad un’abitazione di 100mq medi per una stagione si attesta tra i 6.000 ed i 6.500 kw annui, per coprire i quali occorre un impianto fotovoltaico ben orientato di 4,5 kWp.

La generazione di energia elettrica a livello nazionale o mondiale rimane comunque l’unico obbiettivo imperativo se non si vuol rischiare tra 20 anni una corsa indiscriminata verso pallet o legna (in prossimità del picco del metano) che creereebbe un inquinamento da CO2 consistente, cosa che sta già avvenendo (immaginarsi 60 milioni di italiani che si scaldano a pallet o legna….).

E’ inutile discriminare il carbone e poi scaldarsi con pallet e stufe….

Le soluzioni sono ampie e variegate ma non sono argomento di questa relazione; quotidianamente vengono studiati sistemi per poter mantenere e potenziare la produzione elettrica con dibattiti anche accesi.

Concludo solo sottolineando che i sistemi riscaldanti a basso consumo hanno un potenziale di sviluppo che è enorme, mentre i sistemi a Gas sono ormai giunti al termine, come una macchina da formula 1 vecchia di 4 anni. Inutile spendere ancora tempo per sistemi obsoleti e dal futuro assai limitato. Meglio investire in sistemi più efficaci, sicuri e con un ampio margine di sviluppo.


(*) Luigi Ruffini, residente nel Comune di Bolognano, Via Cona 5, Pescara. Email: luigiruf@tiscalinet.it - Nato a Varese nel 1969, ha vissuto tra Varese, Pesaro, l’Emilia Romagna in generale. Sposato, dal 1997 si è trasferito in provincia di Pescara aprendo l’attività in proprio. Impiantista elettrico dal 1988. Settore civile, operante in Abruzzo, prevalentemente provincie di Pescara e Chieti. Ambito di specializzazione: oltre all’impiantistica tradizionale, sistemi energetici integrati (fotovoltaico – Riscaldamento elettrico). Micro-eolico.

sabato 4 aprile 2009

Le sorprese della scienza

Pirandello ci era arrivato già nel 1923 a descrivere in modo comico la situazione energetica italiana...leggere per credere!!!
Post dedicato a loro...
Le sorprese della scienza

Avevo ben capito che l’amico Tucci, nell’invitarmi con quelle sue calorose e pressanti lettere a passare l’estate a Milocca, in fondo non desiderava tanto di procurare un piacere a me, quanto a se stesso il gusto di farmi restare a bocca aperta mostrandomi ciò che aveva saputo fare, con molto coraggio, in tanti anni d’infaticabile operosità.

Aveva preso a suo rischio e ventura certi terreni paludosi che ammorbavano quel paese, e ne aveva fatto i campi piú ubertosi di tutto il circondario: un paradiso!

Non mi faceva grazia nelle sue lettere di nessuno dei tanti palpiti che quella bonifica gli era costata e di nessuno dei tanti mezzi escogitati, dei tanti guai che gli erano diluviati, di nessuna delle tante lotte sostenute, lui solo contro Milocca tutta: lotte rusticane e lotte civili.

Per invogliarmi forse maggiormente, nell’ultima lettera mi diceva tra l’altro che aveva preso in moglie una saggia massaja, massaja in tutto: otto figliuoli in otto anni di matrimonio (due a un parto), e un nono per via; che aveva anche la suocera in casa, bravissima donna che gli voler a un mondo di bene, e anche il suocero in casa, perla d’uomo, dotto latinista e mio sviscerato ammiratore. Sicuro. Perché la mia fama di scrittore era volata fino a Milocca, dacché in un giornale s’era letto non so che articolo che parlava di me e d’un mio libro, dove c era un uomo che moriva due volte. Leggendo quell’articolo di giornale, l’amico Tucci s’era ricordato d’un tratto che noi era, amo stati compagni di scuola tant’anni, al Liceo e all’Università, e aveva parlato entusiastica mente del mio straordinario ingegno a suo suocero, il quale subito s’era fatto venire il libro di cui quel giornale parlava.

Ebbene, confesso che proprio quest’ultima notizia fu quella che mi vinse. Non càpita facilmente agli scrittori italiani la fortuna di veder la faccia dabbene d’uno dei tre o quattro acquirenti di qualche loro libro benavventurato. Presi il treno e partii per Milocca.
Otto ore buone di ferrovia e cinque di vettura.

Ma piano, con questa vettura! Cent’anni fa, non dico, sarà anche stata non molto vecchia; forse qualche molla, cent’anni fa, doveva averla ancora, anche se tre o quattro razzi delle ruote davanti e cinque o sei di quelle di dietro erano di già attorti di spago così come si vedevano adesso. Cuscini, non ne parliamo! Là, su la tavola nuda; e bisognava sedere in punta in punta, per cansare il rischio che la carne rimanesse presa in qualche fessura, giacché il legno, correndo, sganasciava tutto. Ma piano, con questo correre! Doveva dirlo la bestia. E quella bestia lì non diceva nulla: salutava perfino col muso a camminare. Sì, centomila volle sì, scambio dei piedi, voleva metterci le froge per terra, come ce le metteva, povera decrepita rozza, tanto gli zoccoli sferrati le facevano male. E quel boja di vetturino intanto aveva il coraggio di dire che bisognava saperla guidare, lasciarla andare col suo verso, perché ombrava, ombrava e, a frustarla, ritta gli si levava come una lepre, certe volte quella bestiaccia lì.

E che strada! Non posso dire d’averla proprio veduta bene tutta quanta perché in certi precipizi ridi piuttosto la morte con gli occhi. Ma c erano poi le peltate che me la lasciavano ammirare per tutta un’eternità, tra i cigolii del legno e il soffiai di quella rozza sfiancata, che accorava. Da quanti mai secoli non era stata piú riattata quella strada?

– Il pan delle vetture è il brecciale, – mi spiegò il vetturino. – Se lo mangiano con le ruote. Quando manchi il brecciale, si mangiano la strada.

E se l’erano mangiata bene oh, quella strada! Certi solchi che, a infilarli, non dico, ci s’andava meglio che in un binario, da non muoversene piú però, badiamo! ma, a cascarci dentro per uno spaglio della bestia, si ribaltava com’è vero Dio ed era grazia cavarne sano l’osso del collo

– Ma perché le lasciano così senza pane le vetture a Milocca? – domandai.

– Perché? Perché c’è il progetto, – mi rispose il vetturino.

– Il...?

– Progetto, sissignore. Anzi, tanti progetti, ci sono. C’è chi vuoi portare la via ferrata fino a Milocca, e chi dice il tram e chi l’automobile. Insomma si studia, ecco, per poi riparare come faccia meglio al caso.

– E intanto?

– Intanto io mi privo di comperare un altro legno e un’altra bestia, perché, capirà, se mettono il treno o il tram o l’automobile, posso fischiare.

Arrivai a Milocca a sera chiusa.

Non vidi nulla, perché secondo il calendario doveva esserci la luna, quella sera; la luna non c’era; i lampioni a petrolio non erano stati accesi; e dunque non ci si vedeva neanche a tirar moccoli.

Villa Tucci era a circa mezz’ora dal paese. Ma, o che la rozza veramente non ne potesse piú o che avesse fiutato la rimessa lì vicina, come diceva sacrando il vetturino, il fatto è che non volle piú andare avanti nemmeno d’un passo.

E non seppi darle torto, io.

Dopo cinque ore di compagnia, m’ero quasi quasi medesimato con quella bestia: non avrei voluto piú andare avanti, neanch’io.

Pensavo:

« Chi sa, dopo tant’anni, come ritroverò Merigo Tucci! Già me lo ricordo così in nebbia. Chi sa come si sarà abbrutito a furia di batter la testa contro le dure, stupide realtà quotidiane d’una meschina vita provinciale! Da compagno di scuola, egli mi ammirava; ma ora vuoi essere ammirato lui da me, perché, – buttati via i libri – s’è arricchito; mentr’io, là! potrò farmi giulebbare dal suocero dotto latinista, il quale, figuriamoci! mi farà scontare a sudore di sangue le tre lirette spese per il mio libro. E otto marmocchi poi, e la suocera, Dio immortale, e la nuora buona massaja. E questo paese che Tucci mi ha decantato ricchissimo e che intanto si fa trovare al bujo, dopo quella stradaccia lì e questo legnetto qua per accogliere gli ospiti. Dove son venuto a cacciarmi? »

Mentre mi pascevo comodamente di queste dolci riflessioni, la rozza, piantata lì su i quattro stinchi, si pasceva a sua volta d’una tempesta di frustate, imperturbabilmente. Alla fine il vetturino, stanco morto di quella sua gran fatica, disperato e furibondo, mi propose di andare a piedi.

– È qui vicino. La valigia gliela porto io.

– E andiamo, su! Sgranchiremo le gambe, – dissi io, smontando. – Ma la via è buona, almeno? Con questo bujo...

Lei non tema. Andrò io avanti; lei mi terrà dietro, piano piano, con giudizio.

Fortuna ch’era bujo! Quel ch’occhio non vede, cuore non crede. Quando però il giorno dopo vidi quell’altra strada lì restai basito, non tanto perché c’ero passato, quanto per il pensiero che se Dio misericordioso aveva permesso che non ci lasciassi la pelle, chi sa a quali terribili prove vuoi dire che m’ha predestinato.

Fu così forte l’impressione che mi fece quella strada e poi l’aspetto di quel paese – squallido, nudo in desolato abbandono, come dopo un saccheggio o un orrendo cataclisma; senza vie, senz’acqua, senza luce – che la villa dell’amico mio e l’accoglienza ch’egli mi fece con tutti i suoi e l’ammirazione del suocero e via dicendo mi parvero rose, a confronto.

– Ma come! – dissi al Tucci. – Questo è il paese ricco e felice, tra i piú ricchi e felici del mondo?

E Tucci, socchiudendo gli occhi:

– Questo. E te ne accorgerai.

Mi venne di prenderlo a schiaffi. Perché non s’era mica incretinito quel pezzo d’omaccione là; pareva anzi che l’ingegno naturale, con l’alacrità e l’esperienza della vita, nelle dure lotte contro la terra e gli uomini, gli si fosse ingagliardito e acceso; e gli sfolgorava dagli occhi ridenti, da cui io, sciupato e immalinconito dalle vane brighe della città, roso dalle artificiose assidue cure ìntellettuali, mi sentivo commiserato e deriso a un tempo.

Ma se, ad onta delle mie previsioni, dovevo riconoscer lui, Merigo Tucci, degno veramente d’ammirazione, quel paesettaccio no e poi no, perdio! Ricco? felice?

– Mi canzoni? – gli gridai. – Non avete neanche acqua per bere e per lavarvi la faccia, case da abitare, strade per camminare, luce la sera per vedere dove andate a rompervi il collo, e siete ricchi e felici? Va’ là, ho capito, sai. La solita retorica! La ricchezza e la felicità nella beata ignoranza, è vero? Vuoi dirmi questo?

– No, al contrario, – mi rispose Merigo Tucci, con un sorriso, opponendo studiatamente alla mia stizza altrettanta calma. – Nella scienza, caro mio! La felicità nostra è fondata nella scienza piú occhialuta che abbia mai soccorso la povera, industre umanità. Oh sì, staremmo freschi veramente se fossero ignoranti i nostri amministratori! Tu m insegni. Che salvaguardia può esser piú l’ignoranza in tempi come i nostri? Promettimi che non mi domanderai piú nulla fino a questa sera. Ti farò assistere a una seduta del nostro Consiglio comunale. Appunto questa sera si discuterà una questione di capitalissima importanza: l’illuminazione del paese. Tu avrai dalle cose stesse che vedrai e sentirai la dimostrazione piú chiara e piú convincente di quanto ti ho detto. Intanto, la ricchezza nostra è nelle meravigliose cascate di Chiarenza che ti farò vedere, e nelle terre che sono, grazie a Dio, così fertili, che ci dan tre raccolti all’anno. Ora vedrai; vieni con me.

Passò tutto; mi sobbarcai a tutto; mi sorbii come decottini a digiuno tutti gli spassi e le distrazioni della giornata, col pensiero fisso alla dimostrazione che dovevo avere quella sera al Municipio della ricchezza e della felicità di Milocca.

Tucci, ad esempio, mi fece visitare palmo per palmo i suoi campi? Gli sorrisi. Mi fece una nuova e piú diffusa spiegazione della sua grande impresa lì su i luoghi? Gli sorrisi. E davvero l’impeto delle correnti aveva sgrottato tutte le terre e a lui era toccato asciugare e rialzar le campagne, corredandole della belletta, del grassume prezioso? Sì? davvero? Oh che piacere! Gli sorrisi. Ma far la roba è niente: a governarla ti voglio! E dunque gli ulivi si governano ogni tre anni con tre o quattro corbelli di sugo sostanzioso, pecorino? Sì? davvero? Oh che piacere! E gli sorrisi anche quando in cantina, con un’aria da Carlomagno, mi mostrò quattro lunghe andane di botti, e anche lì mi spiegò come valga piú saper governare il tino che la botte e com’egli facesse piú colorito il vino e come gli accrescesse forza e corpo mescolandovi certe qualità d’uve scelte, spicciolate, ammostate da sè, senza mai erbe, mai foglie di sambuco o di tiglio, mai tannino o gesso o catrarne.

E sorrisi anche quando, piú morto che vivo, rientrai in villa e mi vidi venire incontro la tribú dei marmocchi in processione, i quali, mostrandomi rotti i giocattoli che avevo loro donati la sera avanti, mi domandavano con un lungo, strascicato lamento, uno dopo l’altro, tra lagrime senza fine:

– Peeerché queeesto m’hai portaaato?

– Peeerché queeesto m’hai portaaato?

Carini! carini! carini!

E sorrisi anche al suocero, mio ammiratore, il quale – sissignori – era cieco, cieco da circa dieci anni e del mio libro non conosceva che qualche paginetta che il genero gli aveva potuto leggere di sera, dopo cena. Voleva egli ora che glielo leggessi io, il mio libro? Ma subito! E fu una vera fortuna per lui, che non potesse vedere il mio sorriso, e tutti quelli che gli porsi poi, ogni qualvolta il brav’uomo, ch’era straordinariamente erudito, m’interrompeva nella lettura (oh, quasi a ogni rigo!) per domandarmi con buona grazia se non credessi per avventura che avrei fatto meglio a usare un’altra parola invece di quella che avevo usata, o un’altra frase, o un altro costrutto, perché Daniello Bartoli, sicuro, Daniello Bartoli...

Finalmente arrivò la sera! Ero vivo ancora, non avrei saputo dir come, ma vivo, e potevo avere la famosa dimostrazione che Tucci mi aveva promesso.

Andammo insieme al Municipio, per la seduta del Consiglio comunale.

Era, come la maestra e donna di tutte le case del paese, la piú squallida e la piú scura: una catapecchia grave in uno spiazzo sterposo, con in mezzo un fosco cisternone abbandonato Vi si saliva per una scalaccia buja, intanfata d’umido, stenebrata a malapena da due tisici lumini filanti, di quelli con le spere di latta, appiccati al muro quasi per far vedere come ornati di stucco, no, per dir la verità, non ce ne fossero, ma gromme di muffa, si e tante!

Saliva con noi una moltitudine di gente, attirata dalla discussione di gran momento che doveva svolgersi quella sera: salii a con un contegno, anzi con un cipiglio che doveva per forza meravigliare uno come me, abituato a non veder mai prendere sul serio le sedute d’un Consiglio comunale.

La meraviglia mi era poi accresciuta, dall’aria, dall’aspetto di quella gente, che non mi pareva affatto così sciocca da doversi con tanta facilità contentare d’esser trattata com’era, cioè a modo di cani, dal Municipio.

Tucci fermò per la scala un tozzo omacciotto aggrondato, barbuto, rossigno, che, evidentemente, non voleva esser distratto dai pensieri che lo gonfiavano.

– Zagardi, ti presento l’amico mio...

E disse il mio nome. Quegli si voltò di mala grazia e rispose appena, con un grugnito, alla presentazione. Poi mi domandò a bruciapelo.

– Scusi, com’è illuminata la sua città? – A luce elettrica, – risposi.

E lui, cupo:

– La compiango. Sentirà stasera. Scusi, ho fretta.

E via, a balzi, per il resto della scala.

– Sentirai, – mi ripeté Tucci, stringendomi il braccio. – È formidabile! Eloquenza mordace, irruente. Sentirai!

– – E intanto ha il coraggio di compiangermi?

– Avrà le sue ragioni. Su, su, affrettiamoci, o non troveremo piú posto.

La mastra sala, la Sala del Consiglio, rischiarata da altri lumini a cui quelli della scala avevano ben poco da invidiare, pareva un aula di pretura delle piú sudice e polverose I banchi dei consiglieri e le poltrone di cuojo erano della più venerabile antichità; ma, a considerarli bene nelle loro relazioni con quelli che tra poco avrebbero preso posto in essi e che ora passeggiavano per la sala, assorti, taciturni, ispidi come tanti cocomerelli selvatici pronti a schizzare a un minimo urto il loro sugo purgativo, pareva che non per gli anni si fossero logorati così, ma per la cura cupamente austera del pubblico bene, per i pensieri roditori che in loro, naturalmente, erano divenuti tarli.

Tucci mi mostrò e mi nominò a dito i consiglieri piú autorevoli: l’Ansatti tra i giovani, rivale dello Zagardi, tozzo e barbuto anche lui, ma bruno; il Colacci, vecchio gigantesco, calvo, sbarbato, dalla pinguedine floscia; il Maganza, bell’uomo, militarmente impostato, che guardava tutti con rigidezza sdegnosa. Ma ecco, ecco il sindaco in ritardo. Quello? Sì, Anselmo Placci. Tondo, biondo, rubicondo: quel sindaco stonava.

– Non stona, vedrai, – mi disse Tucci. – È il sindaco che ci vuole.

Nessuno lo salutava; solo il Colacci gigantesco gli si accostò per battergli forte la mano su la spalla. Egli sorrise, corse a prender posto sul suo seggio, asciugandosi il sudore, e sonò il campanello, mentre il capo – usciere gli porgeva la nota dei consiglieri presenti. Non mancava nessuno.

Il segretario, senza aspettar l’ordine, aveva preso a leggere il verbale della seduta precedente, che doveva essere redatto con la piú scrupolosa diligenza, perché i consiglieri che lo ascoltavano accigliati approvavano di tratto in tratto col capo, e in fine non trovarono nulla da ridire.

Prestai ascolto anch’io a quel verbale, volgendomi ogni tanto, smarrito e sgomento, a guardare l’amico Tucci. A proposito delle strade di Milocca, si parlava come niente di Londra, di Parigi, di Berlino, di New York, di Chicago, in quel verbale, e saltavan fuori nomi d’illustri scienziati d’ogni nazione e calcoli complicatissimi e astrusissime disquisizioni, per cui i capelli del magro, pallido segretario mi pareva si ritraessero verso la nuca, man mano ch’egli leggeva, e che la fronte gli crescesse mostruosamente. Intanto due o tre uscieri, zitti zitti, in punta di piedi, recavano a questo e a quel banco pile enormi di libri e grossi incartamenti.

– Nessuno ha da fare osservazioni al verbale? – domandò alla fine il sindaco. stropicciandosi le mani paffutelle e guardando in giro. – Allora s’intende approvato. L’ordine del giorno reca: – Discussione del progetto presentato dalla Giunta per un impianto idro–termo–elettrico nel Comune di Milocca. – Signori Consiglieri! Voi conoscete già questo progetto e avete avuto tutto il tempo d’esaminarlo e di studiarlo in ogni sua parte. Prima di aprire la discussione, consentite che io, anche a nome dei colleghi della Giunta, dichiari che noi abbiamo fatto di tutto per risolvere nel minor tempo e nel modo che ci è sembrato piú conveniente, sia per il decoro e per il vantaggio del paese, sia rispetto alle condizioni economiche del nostro Comune, il gravissimo problema dell’illuminazione. Aspettiamo dunque fiduciosi e sereni il vostro giudizio, che sarà equo certamente; e vi promettiamo fin d’ora, che accoglieremo ben volentieri tutti quei consigli, tutte quelle modificazioni che a voi piacerà di proporre, ispirandovi come noi al bene e alla prosperità del nostro paese.

Nessun segno d’approvazione.

E si levò prima a parlare il consigliere Maganza, quello dall’impastatura militaresca. Premise che sarebbe stato brevissimo, al solito suo. Tanto piú che per distruggere e atterrare quel fantastico edificio di cartapesta (sic), ch’era il progetto della Giunta, poche parole sarebbero bastate. Poche parole e qualche cifra.

E punto per punto il consigliere Maganza si mise a criticare il progetto, con straordinaria lucidità d’idee e parola acuta, incisiva: il complesso dei lavori e delle spese; la sanzione che si doveva dare per l’acquisto della concessione dell’acqua di Chiarenza; i rischi gravissimi a cui sarebbe andato incontro il Municipio: il rischio della costruzione e il rischio dell’esercizio; l’insufficienza della somma preventivata, che saltava agli occhi di tutti coloro che avevano fatto impianti meccanici e sapevano come fosse impossibile contener le spese nei limiti dei preventivi, specialmente quando questi preventivi erano fatti sopra progetti di massima e con l’evidente proposito di fare apparir piccola la spesa; il carattere impegnativo che aveva l’offerta dell’accollatario, fermi restando i dati su i quali l’offerta medesima era fondata; dati che per forza il Consiglio avrebbe dovuto alterare con varianti e aggiunte ai lavori idraulici, con varianti e aggiunte Gl’impianti meccanici; e ciò oltre a tutti i casi imprevisti e imprevedibili, di forza maggiore, e a tutte le accidentalità, incagli, intoppi, che certamente non sarebbero mancati. Come poi fare appunti particolareggiati senza avere a disposizione i disegni d’esecuzione e i dati necessari? Eppure due enormi lacune apparivano già evidentissime nel progetto: nessuna somma per le spese generali, mentre ognuno comprendeva che non si potevano eseguire lavori così grandiosi, così estesi, così varii e delicati, senza gravi spese di direzione e di sorveglianza e spese legali e amministrative; e l’altra lacuna ben piú vasta e profonda: la riserva termica che in principio la Giunta sosteneva non necessaria e che poi finalmente ammetteva.

E qui il consigliere Maganza, con l’ajuto dei libri che gli avevano recati gli uscieri, si sprofondò in una intricatissima, minuziosa confutazione scientifica, parlando della forza dei torrenti e delle cascate e di prese e di canali e di condotte forzate e di macchinarii e di condotte elettriche e delle relazioni da stabilire tra riserva termica e forza idraulica, oltre la riserva degli accumulatori; citando la Società Edison di Milano e l’Alta Italia di Torino e ciò che per simili impianti s’era fatto a Vienna, a Pietroburgo, a Berlino.

Eran passate circa due ore e il brevissimo discorso non accennava ancora di finire. Il pubblico stipato pendeva dalle labbra dell’oratore, per nulla oppresso da tanta copia d’irta, spaventevole erudizione. Io quasi non tiravo piú fiato; eppure lo stupore mi teneva lì, con gli occhi sbarrati e a bocca aperta. Ma alla fine, il Maganza, mentre il pubblico s’agitava, non già per sollievo, anzi per viva ammirazione, concluse così:

– La dura esperienza in altre città, o signori, ha purtroppo dimostrato che gl’impianti idro–termo–elettrici cono della massima difficoltà e serbano dolorosissime sorprese. Nessuno può far miracoli, e tanto meno, su la base d’un così fatto progetto, potrà farne il Municipio di Milocca!

Scoppiarono frenetici applausi e il consigliere Ansatti si precipitò dal suo banco ad abbracciare e baciare il Maganza; poi, rivolto al pubblico e ritornando man mano al suo posto, prese a gridare tutto infocato, con violenti gesti:

– Si osa proporre, o signori, oggi, oggi, come se noi ci trovassimo dieci o venti anni addietro, al tempo di Galileo Ferraris, si osa proporre un impianto idro–termoelettrico a Milocca! Ah come mi metterei a ridere, se potesse parermi uno scherzo! Ma coi denari dei contribuenti, o signori della Giunta, non è lecito scherzare, ed io non rido, io m’infiammo anzi di sdegno! Un impianto idro–termo–elettrico a Milocca, quando già spunta su l’orizzonte scientifico la gloria consacrata di Pictet? Non vi farò il torto di credere, o signori, che voi ignoriate chi sia l’illustre professor Pictet, colui che con un processo di produzione economica dell’ossigeno industriale prepara una memoranda rivoluzione nel mondo della scienza, della tecnica e dell’industria, una rivoluzione che sconvolgerà tutto il macchinismo della vita moderna, sostituendo questo nuovo elemento di luce e di calore a tutti quelli, di potenza molto minore, che finora sono in uso!

E con questo tono e con crescente fuoco, il consigliere Ansatti spiegò al pubblico attonito e affascinato la scoperta del Pictet, e come col sistema da lui inventato le fiamme delle reticelle Auer sarebbero arrivate alle altissime temperature di tremila gradi, aumentando di ben venti volte la loro luminosità; e come la luce così ottenuta sarebbe stata, a differenza di tutte le altre, molto simile a quella solare; e che se poi, al posto del gas, si fosse messa un’altra miscela derivante da un trattamento del carbon fossile col vapore acqueo e l’ossigeno industriale, il potere calorifico sarebbe aumentato di altre sei volte!

Mentr’egli spiegava questi prodigi, il consigliere Zagardi, suo rivale, quello che mi aveva compianto per la scala, sogghignava sotto sotto. L’Ansatti se ne accorse e gli gridò:

– C’è poco da sogghignare, collega Zagardi! Dico e sostengo di altre sei volte! Ci ho qui i libri; te lo dimostrerò!

E glielo dimostrò, difatti; e alla fine, balzando da quella terribile dimostrazione piú vivo e piú infocato di prima, concluse, rivolto alla Giunta:

– Ora in quali condizioni, o ciechi amministratori, in quali condizioni d’inferiorità si troverebbero il Municipio e il paese di Milocca, coi loro miserabili 1000 cavalli di forza elettrica, quando questo enorme rivolgimento sarà nell’industria e nella vita un fatto compiuto?

– Scusami, – diss’io piano all’amico Tucci, mentre gli applausi scrosciavano nella sala con tale impeto che il tetto pareva ne dovesse subissare, – levami un dubbio: non è intanto al bujo il paese di Milocca?

Ma Tucci non volle rispondermi:

Zitto! Zitto! Ecco che parla Zagardi! Sta’ a sentire!

Il tozzo omacciotto barbuto s’era infatti levato, col sogghigno ancora su le labbra, torcendosi sul mento, con gesto dispettoso, il rosso pelo ricciuto.

– Ho sogghignato, – disse, – e sogghigno, collega Ansatti, nel vederti così tutto fiammante d’ossigeno industriale, paladino caloroso del professor Pictet! Ho sogghignato e sogghigno collega Ansatti non tanto di sdegno quanto di dolore nel vedere come tu, così accorto, tu, giovane e vigile bracco della scienza, ti sia fermato alla nuova scoperta di quel professor francese e, abbagliato dalla luce venti volte cresciuta delle reticelle Auer, non abbia veduto un piú recente sistema d’illuminazione che il Municipio di Parigi va sperimentando per farne poi l’applicazione generale nella ville lumière. Io dico il Lusol, collega Ansatti, e non scioglierò inni in gloria della nuova scoperta, perché non con gl’inni si fanno le rivoluzioni nel campo della scienza, della tecnica e dell’industria, ma con calcoli riposati e rigorosi.

E qui lo Zagardi, non smettendo mai di tormentarsi sul mento la barbetta rossigna, piano piano, col suo fare mordace e dispettoso, parlò della semplicità meravigliosa delle lampade a lusol, nelle quali il calore di combustione dello stoppino e la capillarità bastavano a determinare senz’alcun meccanismo l’ascesa del liquido illuminante, la sua vaporizzazione e la sua mescolanza alla forte proporzione d’aria che rendeva la fiamma piú viva e sfavillante di quella ottenuta con qualunque altro sistema. E per un miserabilissimo centesimo si sarebbe ormai avuta la stessa luce che si aveva a quattro o cinque centesimi col vile petrolio, a otto o dieci con l’ambiziosa elettricità, a quindici o venti col pacifico olio. E il Lusol non richiedeva né costruzioni di officine, né impianti, né canalizzazioni. Non aveva egli dunque ragione di sogghignare?

O fosse per la tempesta suscitata nella poca aria della sala dalle deliranti acclamazioni e dai battimani del pubblico, o fosse per mancanza d’alimento, essendosi la seduta già protratta oltre ogni previsione, il fatto è che, alla fine del discorso dello Zagardi, i lumi si abbassarono di tanto, che si era quasi al bujo quando sorse per ultimo a parlare il Colacci, il vecchio gigantesco dalla pinguedine floscia. Ma ecco: prima un usciere e poi un altro e poi un terzo entrarono come fantasmi nell’aula, reggendo ciascuno una candela stearica. L’aspettazione nel pubblico era intensa: indimenticabile la scena che offriva quella tetra sala affollata nella semioscurità, con quelle tre candele accese presso il vecchio gigantesco che con ampli gesti e voce tonante mellificava la Scienza, feconda madre di luce inestinguibile, produttrice inesauribile di sempre nuove energie e di piú splendida vita.

Dopo le scoperte mirabili di cui avevano parlato l’Ansatti e lo Zagardi, era piú possibile sostenere l’impianto idro–termo–elettrico proposto dalla Giunta? Che figura avrebbe fatto il paese di Milocca illuminato soltanto a luce elettrica? Questo era il tempo delle grandi scoperte, e ogni amministrazione che avesse veramente a cuore il decoro del paese e il bene dei cittadini, doveva stare in guardia dalle sorprese continue della Scienza. Il consigliere Colacci, pertanto, sicuro d’interpretare i voti del buon popolo milocchese e di tutti i colleghi consiglieri, proponeva la sospensiva sul progetto della Giunta, in vista dei nuovi studi e delle nuove scoperte che avrebbero finalmente dato la luce al paese di Milocca.

– Hai capito? – mi domandò Tucci, uscendo poco dopo nelle tenebre dello spiazzo sterposo innanzi al Municipio. – E così per l’acqua, e così per le strade, e così per tutto. Da una ventina d’anni il Colacci si alza a ogni fine di seduta per inneggiare alla Scienza, per inneggiare alla luce, mentre i lumi si spengono, e propone la sospensiva su ogni progetto, in vista di nuovi studii e di nuove scoperte. Così noi siamo salvi, amico mio! Tu puoi star sicuro che la Scienza, a Milocca, non entrerà mai. Hai una scatola di fiammiferi? Cavala fuori e fatti lume da te.