lunedì 16 ottobre 2006

TEN - PEARL JAM


Il Grunge non si può certamente sintetizzare in un disco ma sentendo Ten puoi
sentirne l'essenza.Ten è Grunge il vero grunge di Seattle ed Eddie Vedder ne è
la bandiera ultimo alfiere di questo genere dotato di una voce per me
"semplicemente straordinaria"...
Il nome Pearl Jam deriva da una marmellata allucinogena che faceva la nonna
Pearl, presunta nonna di Vedder,con il peyote,EBBENE ASCOLTARE QUESTO
CAPOLAVORO PER ME E'COME ASSAGGIARE QUELLA MARMELLATA.

Riporto la bellissima recensione di Benedetta Urbano
Descrivere questo album non sarà compito facile. Specie se sul podio nella tua
mente lo posizioni sul gradino più alto. L’ amore furente per un disco
pregiudica sicuramente un’esposizione analitica e distaccata, e dopo un
instancabile ascolto durato circa 13 anni parlarne diventa quasi come
rispondere ad una domanda del tipo “Vuoi bene alla mamma?”. Questo disco
è il geniale spaccato della frustrata America anni 90. Le donne conquistata l’emancipazione, crescono i
bambini con latte e Ritalin, i mariti spaventati dalle loro mogli in tailleur
e 24ore vanno a comprare le sigarette e non tornano più casa e i giovani,
che fanno della musica la loro unica ragione di vita, sistemano le scatole
negli scaffali dei supermercati sognando un futuro on stage. La perdita di un
amico per overdose di eroina (Andrew Wood) e la fine di un sogno quasi
realizzato (Mother Love Bone) si uniscono casualmente all’adolescenza triste
e turbolenta di un surfer di San Diego, dando vita ad un progetto fatto di
rock, rabbia e camicie di flanella. In linea di massima lo scenario dovrebbe
essere questo e ancora una volta, in una simile indifferenza sociale, io godo
del disagio interiore di qualcun altro. Con l’intro fluttuante e sinistra di
“Once” e con l’incontenibile impeto heavy metal di McCready i Pearl Jam si
presentano al mondo intero, proponendo il primo oscuro personaggio di una
lunga serie. Ognuno di essi salta fuori dalla penna dell’allora introverso
Eddie Vedder, e ognuno di essi assume un ruolo preciso in quel contesto
sociale arido e malato. Serial killer, disadattati, senzatetto e adolescenti
incompresi che patiscono quotidianamente la strafottenza dei genitori fino a
decidere di spararsi un colpo di pistola in pieno cranio di fronte tutta la
classe. Questi gli attori principali, queste le vittime di una frustrazione
e di un’insoddisfazione che, nella maggior parte dei pezzi, si concretizza a
colpi di un hard rock violento e impetuoso o con un trascinante grunge-rock
melodico dagli effetti ipnotici e seducenti. Siamo in piena deflagrazione
grunge ma questo disco distrugge ogni tentativo di standardizzazione. La furia
hard rock di “Even Flow”, “Why Go”, “Porch”, “Deep”, si combina abilmente
alle melodia dei suoi refrain avvelenati e adrenalinici a tal punto da far
scoppiare le vene. Il basso timbro di Vedder e la sua “ira funesta”
amplificano tutta questa rabbia aggravando in maniera impressionante la
potenza dei suoi colleghi che sembrano quasi sul punto di violentare i
propri “arnesi”. La calma apparente e le melodie meno ossessive e graffianti
si assaporano con “Black”, forse unico brano dedicato alla sofferenza generata
dal sentimento più innocuo in questo contesto: l’amore, o con “Release” che
dopo la tempesta chiude l’album con toni lenti e mesti. Sembrerebbe sia giunta
la quiete ma effettivamente non è così, perché dietro quella pacatezza si
nasconde una preghiera, una richiesta di liberazione, forse dai fantasmi del
passato, forse dal terribile rimorso di non aver saputo in tempo la vera
natura della propria esistenza. Non ci sarà mai data un'unica interpretazione
realmente attendibile, quello che è certo che quel “release me” raggiunge una
profondità tale da turbare l’animo di chiunque lo ascolti. Ma no, è l’intero
album che sconquassa corpo e anima! Questo il vero Riot Act! Se continuo
rischio di diventare patetica. Troppo innamorata! Ma vi prego se ancora non
lo avete, o se possedete solo i successivi…COMPRATELO….è il migliore!




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