lunedì 23 ottobre 2006

il migliore secondo di sempre: Scottie Pippen


Dopo 6 titoli, memorabili con i Chicago Bulls, 2 medaglie d’oro alle Olimpiadi, 7 presenze all’All Star Game e 10 nominations per il miglior quintetto difensivo. Nonché l’inclusione nei 50 migliori giocatori di ogni epoca.
Il miglior secondo violino di sempre: con questa definizione, noi tutti siamo pronti a registrarlo nei nostri files mentali.

Pippen è stato per anni la fedele spalla di Michael Jordan, un giocatore di una universalità straordinaria, in grado di segnare, di organizzare meglio di Michael il gioco della sua squadra e di intuizioni difensive al limite del soprannaturale.

Il destino ci ha messo del suo: durante le finali del ’98, sul 3-1 per i Bulls, in molti ci chiedevamo chi sarebbe stato l’Mvp. Mai come in quella finale, Scottie si era avvicinato al livello di sua maestà Jordan. Per certi versi lo aveva soverchiato con il suo gioco a 360°. Una sciagurata gara5, persa dai rossoneri, con percentuali di tiro minime, la successiva eroica prova di Michael al Delta Center, con Scottie a fare avanti e indietro dall’infermeria, ristabilì a pieno le “gerarchie”.

La seconda parte della carriera dell’ex Central Arkansas ha rafforzato questa etichetta: una sola stagione, non brillantissima, a Houston, passata a dare il pallone in area ai senatori Hakeem e Barkley, conclusa con le famose accuse di “eccessiva pinguedine” rivolte a quest’ultimo.

E poi la campagna di Portland, dove è arrivato ad un centimetro dal titolo. E’ opinione comune che, se Portland non avesse buttato via il quarto periodo di gara7 allo Staples Center, i Blazers avrebbero poi vinto il titolo con Indiana. Invece Wallace fece 1-8. Bryant mise un tiro incredibile con la mano di Pippen in faccia. E nacque la dinastia dei Lakers.

Quella sera, in sala stampa, il giocatore cercò di spiegare il disastro, con la sua voce nasale e da baritono, quasi innaturale: gli occhi persi nel vuoto, forse per nascondere la sua incredulità, di fronte a quello che aveva visto. L’ultima, reale possibilità di vincere il titolo era sfumata.

Eppure Scottie aveva dato vita all’ennesima memorabile danza difensiva: dovendosi occupare di Harper, suo ex compagno, ritenuto poco pericoloso, Pippen raddoppiò costantemente Shaq, contribuendo insieme a Sabonis a non farlo ricevere, isolandolo completamente dall’attacco gialloviola.

All’eliminazione di Portland in molti gongolarono: Scottie nella Nba si è fatto pochi amici. E non ha certo provato a mostrare il suo lato migliore. Di Charles Barkley abbiamo detto. Jerry Crause per anni fu insultato per via delle dispute contrattuali.

Figlio di una famiglia poverissima, Scottie sviluppò una reale idiosincrasia per il contratto a lungo termine che, ad inizio carriera, firmò per avere un avvenire economico sicuro. In realtà per questo, per anni fu sottopagato in maniera imbarazzante rispetto al suo reale valore. Proprio i Bulls, però, alla fine lo ricompensarono con il contratto sign™ che gli portò 67milioni di dollari, prima di andare a Houston.

Anche nell’Oregon non mancarono parole di fuoco contro la dirigenza, colpevole secondo l’ala, di aver sacrificato Jermaine O’Neal per Shawn Kemp. Nel momento in cui le cose cominciarono ad andare male, Pippen mostrò l’altra faccia. Quella di un giocatore psicologicamente ondivago, non in grado di assumere la guida di una squadra.

Portland avrebbe avuto bisogno di leadership e carisma per instradare Rasheed Wallace. Pippen preferì un atteggiamento di sdegno progressivo. Per la cessione di Steve Smith, per il playmakin di Stoudamire. Questi atteggiamenti negativi si erano visti anche nella città del vento, nell’anno e mezzo dedicato da Jordan al baseball: tutti ricordano la sedia scaraventata in campo, con rabbia.

E lo sciopero bianco, negli ultimi secondi di una partita di playoffs contro New York. Phil Jackson aveva assegnato l’ultimo tiro, della possibile vittoria a Toni Kukoc, lo storico bersaglio delle frustrazioni di “Da Pip”.

Ci piace invece ricordarlo nelle finale del ’97 e del ’98 contro Utah: la sua interpretazione della difesa sul pick n roll, venendo come terzo uomo, rimane la cosa più incredibile che si sia vista, difensivamente negli ultimi anni.

Pippen si ferma con il secondo posto fra i marcatori dei Bulls, 15.123 punti sui 18.940 totali. Secondo per partite giocate nei playoffs con 208: solo Kareem Abdul Jabbar con 232 ha fatto meglio. Pippen è anche 23° assoluto negli assist con 6.153 e terzo rimbalzista della storia di Chicago con 5263 palloni catturati. E’ invece primo per tiri da tre segnati: 644 su 2011. Numeri, che da soli non bastano a inquadrare la completezza del giocatore, ma che ne danno un’idea.

Rimane l’emozione per aver visto sul campo un airone meraviglioso, in grado di fare tutto e di esprimere un’increbibile eleganza in ogni sua azione.

La sua immagine più bella: gara5 a Salt Lake City nel ’97. Bulls in difficoltà sotto in doppia cifra e con Jordan debilitato. Pippen parte in palleggio da sinistra verso il centro, batte il difensore diretto e piazza una violenta “tomawack dunk”, schiacciata ad una mano, la destra, sull’aiuto di Karl Malone.

Ciao Scottie, grazie di tutto.




FRANCESCO DE GREGORI


Ma uno che scrive ""Era mattina presto, mi chiamano alla finestra
mi dicono: "Francesco, ti vogliono ammazzare".
Io domando "chi"? Loro fanno "cosa"?
Insomma prendo tutto e come San Giuseppe,
mi trovo a rotolare per le scale,
cercando un altro Egitto."" oppure ""Ieri, ho incontrato la mia formica,
mi ha detto che, sono pazzo.io, con occhiaie profonde e un principio di
intossicazione. ""E credo che fu in quel preciso momento che venne da molto
lontano un ricordo qualcosa di simile a un pianto di madri e due angeli
vestiti di bianco scesero con aria stupita e il vuoto nel cuore e aprimmo al
pianto le finestre del dolore."" è normale?
Francesco De Gregori è un visionario della poesia, la poesia non è morta è
semplicemente stata musicata e questo disco ne è la prova,in più potete
ascoltare la voce del maestro come era nel '74 cioè giovane e cristallina.
Alle tastiere un ipnotico Antonello Venditti.

martedì 17 ottobre 2006

GIANMARCO POZZECCO


Colonia,Germania 4 agosto 2004 ore 20 io incollato allo schermo non ci credo:
tutto quello in cui ho creduto finora sta andando a farsi fottere: Basile,Galanda e soprattutto lui la "mosca atomica" stanno umiliando gli americani. L'Italia del basket affronta gli USA in una amichevole ma il dream team non è a stelle e strisce ma azzurro e Pozzecco mette paura mette pauraaa!!
Alla fine vinciamo 95-78 io non capisco più niente prendo la macchina la bandiera dell'Italia
Grido Pozzecco Pozzecco!!!! Un mio amico vedendomi mi raggiunge con la moto
e mi ferma:
>>a via Lazio c'è la Stradale e promettimi che non devi più bere...

Ritornando a Gianmarco Pozzecco nasce a Gorizia il 15 settembre 1972.

Debutta tra i grandi del basket italiano nel 1991 in B1 con la Pallacanestro
Udine e nel 1993 passa alla Libertas Livorno dove gioca una stagione.
Viene quindi ceduto alla Pallacanestro Varese che diviene la sua unica grande
squadra, vincendo nel 1999 lo scudetto e subito dopo la Supercoppa Italiana.
Nelle stagioni 2002/03 e 2003/04 gioca invece a Bologna mentre nel 2005 tenta
l'avventura in Russia, a Mosca, firmando un contratto annuale con il Khimky
rinnovato la stagione successiva.

Entra in Nazionale nel 1997 e partecipa all' All Star Game Italiano del
'98/99 e '00/01 e nel McDonald's Championship del 1999.

Il Poz è di statura piccola per un cestista (solo 1,81) ma grazie alla
sua grinta ed alla sua velocità riesce a penetrare in area e segnare, è
infatti un playmaker realizzatore. Nella difesa uno a uno è molto difficile
tenergli testa e nei tiri da tre punti è micidiale.

Il Poz è famoso per le sue stravaganze che nascono dal voler vincere a tutti
i costi; dona alla partita il 100% di se stesso ma questo spesso lo induce a
forzare e lo pone di fronte a scelte di gioco discutibili che fanno impazzire
i suoi compagni di squadra ed il suo allenatore.
La sua imprevedibilità è un problema tanto per gli avversari quanto per la
squadra ma poco conta tutto questo quando Gianmarco può così vincere da solo
una partita.
Per me sarà sempre colui che ci ha fatto vincere per la prima volta gli USA.

lunedì 16 ottobre 2006

TEN - PEARL JAM


Il Grunge non si può certamente sintetizzare in un disco ma sentendo Ten puoi
sentirne l'essenza.Ten è Grunge il vero grunge di Seattle ed Eddie Vedder ne è
la bandiera ultimo alfiere di questo genere dotato di una voce per me
"semplicemente straordinaria"...
Il nome Pearl Jam deriva da una marmellata allucinogena che faceva la nonna
Pearl, presunta nonna di Vedder,con il peyote,EBBENE ASCOLTARE QUESTO
CAPOLAVORO PER ME E'COME ASSAGGIARE QUELLA MARMELLATA.

Riporto la bellissima recensione di Benedetta Urbano
Descrivere questo album non sarà compito facile. Specie se sul podio nella tua
mente lo posizioni sul gradino più alto. L’ amore furente per un disco
pregiudica sicuramente un’esposizione analitica e distaccata, e dopo un
instancabile ascolto durato circa 13 anni parlarne diventa quasi come
rispondere ad una domanda del tipo “Vuoi bene alla mamma?”. Questo disco
è il geniale spaccato della frustrata America anni 90. Le donne conquistata l’emancipazione, crescono i
bambini con latte e Ritalin, i mariti spaventati dalle loro mogli in tailleur
e 24ore vanno a comprare le sigarette e non tornano più casa e i giovani,
che fanno della musica la loro unica ragione di vita, sistemano le scatole
negli scaffali dei supermercati sognando un futuro on stage. La perdita di un
amico per overdose di eroina (Andrew Wood) e la fine di un sogno quasi
realizzato (Mother Love Bone) si uniscono casualmente all’adolescenza triste
e turbolenta di un surfer di San Diego, dando vita ad un progetto fatto di
rock, rabbia e camicie di flanella. In linea di massima lo scenario dovrebbe
essere questo e ancora una volta, in una simile indifferenza sociale, io godo
del disagio interiore di qualcun altro. Con l’intro fluttuante e sinistra di
“Once” e con l’incontenibile impeto heavy metal di McCready i Pearl Jam si
presentano al mondo intero, proponendo il primo oscuro personaggio di una
lunga serie. Ognuno di essi salta fuori dalla penna dell’allora introverso
Eddie Vedder, e ognuno di essi assume un ruolo preciso in quel contesto
sociale arido e malato. Serial killer, disadattati, senzatetto e adolescenti
incompresi che patiscono quotidianamente la strafottenza dei genitori fino a
decidere di spararsi un colpo di pistola in pieno cranio di fronte tutta la
classe. Questi gli attori principali, queste le vittime di una frustrazione
e di un’insoddisfazione che, nella maggior parte dei pezzi, si concretizza a
colpi di un hard rock violento e impetuoso o con un trascinante grunge-rock
melodico dagli effetti ipnotici e seducenti. Siamo in piena deflagrazione
grunge ma questo disco distrugge ogni tentativo di standardizzazione. La furia
hard rock di “Even Flow”, “Why Go”, “Porch”, “Deep”, si combina abilmente
alle melodia dei suoi refrain avvelenati e adrenalinici a tal punto da far
scoppiare le vene. Il basso timbro di Vedder e la sua “ira funesta”
amplificano tutta questa rabbia aggravando in maniera impressionante la
potenza dei suoi colleghi che sembrano quasi sul punto di violentare i
propri “arnesi”. La calma apparente e le melodie meno ossessive e graffianti
si assaporano con “Black”, forse unico brano dedicato alla sofferenza generata
dal sentimento più innocuo in questo contesto: l’amore, o con “Release” che
dopo la tempesta chiude l’album con toni lenti e mesti. Sembrerebbe sia giunta
la quiete ma effettivamente non è così, perché dietro quella pacatezza si
nasconde una preghiera, una richiesta di liberazione, forse dai fantasmi del
passato, forse dal terribile rimorso di non aver saputo in tempo la vera
natura della propria esistenza. Non ci sarà mai data un'unica interpretazione
realmente attendibile, quello che è certo che quel “release me” raggiunge una
profondità tale da turbare l’animo di chiunque lo ascolti. Ma no, è l’intero
album che sconquassa corpo e anima! Questo il vero Riot Act! Se continuo
rischio di diventare patetica. Troppo innamorata! Ma vi prego se ancora non
lo avete, o se possedete solo i successivi…COMPRATELO….è il migliore!




domenica 15 ottobre 2006

GREGOR FUCKA


Italia-Jugoslavia semifinale europei 1999 con un fucka indemoniato (vinse infatti poi il premio di MVP del torneo e fu Mister Europa '99), quella partita mi ha impressionato. Fucka mi ha dimostrato come si guida una squadra, sulla sua scia tutti gli altri compagni erano diventati dei mostri. Giocatore poliedrico ricercato in NBA, anche da quelle parti non è facile trovare un 2.15 bianco così agile e pericoloso.
Vi riporto di seguito la recensione di Alessandro Gallo:

Il segreto di Gregor? Il lavoro. Quella professionalità quasi maniacale che lo costringe a restare in palestra. Anzi, a farsi aprire la palestra quando questa sarebbe chiusa per santificare le feste, perché Gregor è cresciuto con il culto del lavoro. Nel novembre 1999, dopo un europeo da favola, il giovanotto appariva appannato. Recalcati arrivò persino a imporgli qualche giornata di riposo forzato. Fucka scossò le spalle e in compagnia del fido Basile continuò, con la sua testa dura, ad allenarsi come gli altri. Più degli altri.
Ha un allenatore personale, Pino Grdovic (che è stato braccio destro di Kresimir Cosic) e un 'mago' Peharec, al quale si rivolge quando non riesce più ad allenarsi. Nella Nba, sicuramente, non sarebbe un personaggio. Là, dove tutto luccica e dove tutto è griffato, risulterebbe difficile mettere sotto i riflettori un giocatore che in mano regge una mela oppure una banana.
Dieta rigida
Proprio così: niente bevande con le bollicine, nessun hambuger 'griffato', solo tanta frutta (si può forse promuovere il fruttivendolo di fiducia?). Che sbocconcella quando arriva all'allenamento. Perché segue una dieta specifica, perché è allergico a diversi alimenti. Difficile trovare nel suo passato dichiarazioni roboanti o polemiche. Gregor si trincera dietro il suo classico intercalare, e a un credo che naturalmente comincia dal lavoro in palestra. Ha un telefonino che il più delle volte è spento.
Il bene più prezioso
La famiglia, Valentina gli ha regalato due gemelline, Tatjana e Rebeka, è l'aspetto più importante della sua vita. Se Magic Johnson è il suo eroe sportivo, l'avversario più forte incontrato è Tony Kukoc. Adora Dylan Dog e Alan Ford; è sicuro di non avere pregi. Ma solo tanti difetti che prova a limare quotidianamente, sottoponendosi a ogni tipo di esercizio. A Bologna adesso ha preso casa perché forse ha scoperto che il suo futuro, una volta che avrà appeso le scarpette al chiodo, sarà proprio nella Città dei Canestri. Il momento peggiore, forse, fu la 'rissa' del 'neuroderby' della primavera 1998. Ma lui e Savic (il giocatore che più lo metteva in crisi, una volta) si spiegarono e si chiarirono, da persone civili, davanti a un piatto di tortelloni, alla Braseria, locale bolognese spesso frequentato da cestisti e calciatori. Nel tempo libero? Sta in casa. Con la famiglia. Dopo un paio di allenamenti supplementari, naturalmente...

sabato 14 ottobre 2006

BERSERK




Ho molti amici che leggono manga io di solito non ho tempo e li ho trovati sempre tutti
molto puerili,persino Ken il guerriero, ma un giorno per caso leggo la recensione del
Berserk ,incominciai a leggere le prime pagine e non smisi più....
Il fumetto è consigliato per adulti e vi è tutto l'orrore umano raffigurato in disegni...
Cerco di riportarvi le prime pagine

Pornography


Il capolavoro dei Cure, riprodurlo è come sentire tutte le paure, le ansie, la tua tragedia esistenziale tradotta in musica.
Robert Smith s'impossessa del tuo corpo e ti tramette la forza di superare qualsiasi avversità , alla fine del disco si ha la sensazione di essere appena scampato a un incidente stradale o che si sia spezzata la corda che ti stava strangolando salvandoti dall'impiccagione...
La prima canzone "One Hundred Years" mi ha lasciato senza fiato per poi proseguire ipnotizzato dalle seguenti.

Inutile parlare dei testi assolutamente psichedelici:

One hundread years Cento anni

It doesn't matter if we all die Non ha importanza se moriamo tutti
Ambition in the back ambizione nel retro
Of a black car di una macchina nera
In a high building in un edificio alto
There is so much to do c'è cosi tanto da fare
Going home time ora di andare a casa
A story on the radio... una storia àlla radio...
Something small qualcosa
Falls out of your mouth ti cade di bocca
And we Iaugh e ridiamo
A prayer for something better chiediamo qualcosa di meglio
A prayer chiediamo
For something better qualcosa di meglio
Please Iove me per favore amami
Meet my mother incontra mia madre
But the fear takes hold ma Ia paura prende piede
Creeping up the stairs in the dark salendo silenziosamente le scale
Waiting for the death blow aspettando il colpo fatale
Stroking your hair carezzandoti i capelli
As the patriots are shot mentre i missili volano
Fighting for freedom combattere per la Iibertà
On the television alla tv
Sharing the world dividere il mondo
With slaughtered pigs con maiali ammazzati
Have we got everything? abbiamo tutto?
She struggles to get away... cerchi di sfuggire...
The pain al dolore
ànd the creeping feeling e la sensazione strisciante
A little black haired girl una ragazzina dai capelli neri
Waiting for saturday che aspetta il sabato

The death of her father pushing her Ia morte del padre Ia spinge
Pushing her white face le spinge il volto ceruleo
lnto the mirror contro Io specchio
Aching inside me dentro di me dolore
And turn me around e fammi voltare
Just like the old days come facevamo
Just like the old days come facevamo
Caressing an old man carezzare un vecchio
And painting a Iifeless face dipingere un volto senza espressione
Just a piece of new meat solo un pezzo di carne nuova
In a clean room in una stanza pulita
The soldiers close in i soldati si avvicinano
Under a yellow moon sooo Ia Iunq gialla
AII shadows and deliverance tuqa ombre e Iiberazione
Under a black flag sotto una bandiera nera
A hundred years of blood cent'anni di sangue
Crimson rosso vivo
The ribbon tightens round il nastro si stringe attorno
My throat alla mia gola
I open my mouth apro la bocca
And my head bursts open e mi esplode Ia testa
A sound like a tiger il rumore di una tigre
Thrashing in the water che si agita nell'acqua
Thrashing in the water si agita nell'acqua
Over and over ripetutamente
We die one after the other moriamo uno dopo I'altro
Over and over continuamente
We die one afler thë other after moriamo uno dopo I'altro
The Other... dopo I'altro...
lt feels Iike a hundred years sembrano cent'anni
One hundred years... cent'anni...




giovedì 12 ottobre 2006

drunken master


2° film di kung fu più bello
Premessa sul TSUI PA HSIEN CH'UAN ovvero "boxe degli otto immortali ubriachi" ovvero la cosa più spettacolare che ho visto fare da un artista delle arti marziali
Questo è il famoso stile dell'ubriaco chiamato così perché í suoi praticanti si fingono in preda ai fumi dell'alcool per difendersi e attaccare in modo assolutamente imprevedibile. E' uno stile difficile , ricco di cadute, che richiede una grande preparazione atletica e non comuni doti di agilità. E' molto utilizzato a scopo dimostrativo e prende il nome degli otto famosi personaggi della mitologia taoista che rappresentavano vari campioni di umanità: il giovane ed il vecchio, l'uomo e la donna, il buono e il cattivo, il claudicante e il saggio
EBBENE IN QUESTO FILM VI E'L'ESECUZIONE DI TUTTE E 8 LE FORME DELL'UBRIACO!!!!!!!

Inutile raccontarvi la trama
VOTO 8




Dio ha creato un giocatore di basket di due metri; quello è Michael Jordan


Agosto 1992 avevo 8 anni e mi trovavo in uno di quei soliti matrimoni kitsch che di solito si organizzano da ste' zone ogni tanto.
In quel periodo si tenevano le olimpiadi di Barcellona e in televisione trasmettevano una partita di pallacanestro del Dream team fu allora che vidi l'uomo che mi spinse a giocare a basket:Micheal Jordan.

Vi dirò solo di alcune curiostà e dgli inizi perchè il resto è leggenda...

Curiosità

* Michael Jordan ha indossato quattro diversi numeri di maglia nella sua intera carriera: il mitico #23, il #45 al ritorno dal suo primo ritiro, il #9 con la nazionale degli Stati Uniti alle Olimpiadi del 1984 e del 1992, ed il #12, nella stagione 1990-91, come maglia di emergenza, poiché in una gara contro gli Orlando Magic, ad Orlando, un tifoso si intrufolò negli spogliatoi e rubò la maglia di Jordan. Indossando quella maglia numero 12, senza il cognome stampato dietro, Jordan segnò 49 punti nella vittoria sui Magic.
* La maglia numero #23 di Jordan è stata ritirata dai Chicago Bulls, e dai Miami Heat, anche se Michael non ha mai giocato per questa squadra. Fu desiderio del presidente degli Heat, Pat Riley, fare un tributo a Jordan nella sua ultima gara a Miami nella stagione 2002-2003, innalzando al soffitto un banner raffigurante per metà la maglia dei Bulls e metà la maglia dei Wizards.
* Jordan indossò il numero #23 poiché, quando era giovane, ammirava molto il fratello maggiore Larry, che giocava alla Laney High School, ed indossava il #45. Il 23 è la metà del 45 arrotondata per eccesso, poiché Michael sperava di diventare bravo a giocare, almeno la metà di quanto lo era suo fratello.
* Al suo anno da sophomore al liceo, Michael fu tagliato fuori dalla squadra, perché non ritenuto ancora in grado di giocare.

Aneddoti

* Durante una partita disputata contro gli Utah Jazz a Salt Lake City, MJ schiaccia in testa a John Stockton (alto "solo" 185cm). Un tifoso nel parterre si alza in piedi e urla sdegnato a MJ di provare a schiacciare in testa ad un avversario della sua stessa altezza. Nell'azione successiva, Jordan schiaccia in testa al mastodontico Karl Malone (206cm, 8 più di Jordan) e si rivolge al tifoso con un'occhiata divertita per sapere se era grosso abbastanza.

* Un avversario racconta, in un film documentario su Air, di averlo sentito dire a Scottie Pippen di voler sbagliare il secondo tiro libero, riprendere la palla e metterla dentro per fare un gioco da tre punti. Il numero non gli è venuto solo in quella circostanza.


Michael Jeffrey Jordan nasce il 17 febbraio 1963 nel quartiere di Brooklyn, a New York, dove i genitori James, meccanico in una centrale elettrica, e Delores Jordan, impiegata in una piccola banca, si erano appena trasferiti, ma presto la famiglia si trasferisce nuovamente, questa volta a Wilmington, nella Carolina del Nord, dove Micheal studia e cresce con il fratello maggiore Larry, che lo batte sempre nelle sfide uno-contro-uno a basket, e la sorella Rasalyn.

La leggenda ha inizio quando suo padre sistema un canestro nel giardino sul retro di casa, dove i due fratelli cominciano ad allenarsi ogni giorno.
[modifica]

I primi studi e l'esclusione dalla squadra della scuola

Il giovane Michael è un ragazzo molto timido; frequenta addirittura un corso di economia domestica, per paura di non riuscire a trovare una donna da sposare una volta cresciuto. Di conseguenza, impegna tutte le sue energie nello sport per cercare di emergere, praticando numerose attività: pallacanestro, baseball, football americano, nuoto e altri, insieme ai fratelli.

Jordan non eccelle nello studio, che non lo interessa più di tanto, ma comincia a farsi notare negli sport, brillando soprattutto nel football americano (come quarterback) e nel baseball (come lanciatore). Anche nel basket il ragazzo se la cava, ma, paradossalmente, quello che diventerà il più forte giocatore di tutti i tempi venne escluso dalla squadra di basket della sua scuola, dato che alle selezioni l'allenatore non lo ritiene abbastanza dotato.

Invece di perdersi d'animo, Jordan si allena per un anno intero per conto proprio, pronto a ripresentarsi alle selezioni dell'anno seguente.

Nel frattempo, all'età di 14 anni, per la prima volta riesce a schiacciare nel corso di una partita di street basket in un playground. Era alto solamente 1 metro e 72. È solo l'inizio della leggenda di Air. Finalmente il talento emerge, assieme alla sua crescita fisica (più di 15 cm in un anno): alle selezioni questa volta viene subito scelto, e già nelle prime partite giocate si conquista la fama di dunker ("schiacciatore" in slang), grazie alle stupende schiacciate che è in grado di fare, ben al di sopra della media dei suoi coetanei.

L'anno di duro lavoro dà i suoi frutti: viene inserito nella prima squadra, divenendo subito famoso in tutto lo stato della Carolina del Nord, risultando uno dei migliori giocatori del campionato scolastico disputato.

La stagione di gloria prosegue per Jordan e i Tar Heels, la squadra di Wilmington, che vince il campionato, anche grazie all'apporto di Jordan, che viene convocato per l'All-Star Game delle high-school.

Gli anni della North Carolina University

Nel primo anno di università Jordan si rivela sempre di più un giocatore spettacolare ed eccitante, ma ancora non riesce ad imporsi come un vero leader della squadra.

Il suo anno da rookie ("matricola") termina, tuttavia, in grande stile: nella finale per il titolo NCAA del 1982, Jordan mette a segno il tiro decisivo allo scadere del tempo, regalando alla sua squadra il titolo grazie a quello che nel tempo è diventato famoso come "the shot", ovvero "il tiro".

Già nel suo secondo anno è chiaramente la stella della squadra, e nel terzo viene eletto "giocatore nazionale" dell'anno. Decide dunque di lasciare prematuramente l'università (si laureerà solo qualche anno dopo) per dedicarsi alla NBA.




mercoledì 11 ottobre 2006

impariamo a distinguere tra veri e falsi maestri di vita

TRATTO DA WWW.ALBANESI.IT
Il maestro (l'esperto)

Copyright by THEA 2004



Chi è il maestro (termine che riprendo dalla mia passione scacchistica) o, più in generale, l'esperto?

Il problema si pone quando vogliamo apprendere qualcosa di nuovo, diventare bravi in una nuova mansione, quando cioè abbiamo come obbiettivo:



TARGET: NUOVA ABILITAZIONE



espertoPuò essere che vogliamo dimagrire, che vogliamo imparare a suonare il piano, che vogliamo guarire da una fastidiosa patologia, che vogliamo abbandonare la nostra situazione di sedentari oppure che vogliamo diventare bravi nel giardinaggio. Qualunque sia l'oggetto (la materia) dei nostri sforzi occorre che diventiamo abili nel maneggiarlo.

La situazione è molto simile a quella che viviamo o abbiamo vissuto (magari forzatamente) a scuola. Quanti tipi di professori si possono definire? Sostanzialmente quattro.

FALSO ESPERTO - Insegnante (generalizzando, esperto) che non conosce la materia; se non ripassa la lezione, spesso si confonde o non arriva alla fine e deve "leggere" dal libro di testo.

Sembra impossibile, ma molte persone non contemplano l'esistenza di questa categoria. Sono quelle che ritengono che una laurea (un diploma, un attestato ecc.) sia condizione necessaria e sufficiente per essere esperti. Ovvio che il titolo non è una condizione sufficiente (vedasi in ogni professione i più scarsi rappresentanti), ma non è nemmeno necessaria. Questo è un concetto che sfugge a chi non ha mai messo in difficoltà i suoi maestri, preferendo credere che fossero il massimo del sapere. In realtà molti autodidatti senza titolo ne sanno molto di più di falsi esperti con titolo.

ESPERTO ASSENTE - Insegnante che conosce la materia, ma non ha nessuna voglia di insegnarla. Il classico esempio di persona cui il lavoro pesa troppo.

Esempi di esperti assenti sono tutti coloro che, pur bravi, per vari motivi trattano in modo superficiale o sbrigativo i propri allievi (leggasi clienti nel caso professionale; classico caso lo psicologo/psichiatra che, mentre ascolta il paziente, guarda l'ora per vedere se è finita o meno la seduta).

ESPERTO NOZIONISTICO - Insegnate che conosce la materia, che vuole insegnarla, ma che non sa creare la coscienza della materia nell'allievo.

Come dice il nome, l'esperto nozionistico non fa altro che passare concetti (nozioni) slegate, senza nessi di causalità, senza profondità, senza correlazioni. L'allievo non capisce le cause e, una volta lasciato a sé, non sa che pesci pigliare: il suo apprendimento è meccanico, il suo livello di comprensione è molto superficiale. Classico esempio il dietologo che stila una dieta con qualche variante, senza formare nessuna coscienza alimentare nel cliente.

VERO ESPERTO - Insegnante che conosce la materia, la insegna bene e riesce a formare una coscienza della materia nell'allievo.

È il massimo.

Nonostante il vero esperto sia il massimo, incredibilmente (vedendo il discorso dall'altra faccia della medaglia) ci sono allievi/clienti che non puntano ai veri esperti.

L'allievo spacciato (nel senso che nella vita sarà sempre uno spacciato) ama il falso esperto. Non ho mai capito questo amore, ma è come se per lui non contasse la preparazione dell'esperto, quanto l'atteggiamento psicologico. Un medico scarsissimo, ma gentile diventa mille volte migliore di un luminare geniale, ma un po' troppo introverso. Inoltre l'allievo spacciato preferisce un certo livello di ignoranza che giustifica il suo.

L'allievo forzato è colui che non ha nessuna voglia di imparare ed è abbinato all'esperto assente. Si occupa della situazione (il leggero sovrappeso, il corso di aggiornamento ecc.) perché deve farlo. Ovvio che preferisca un esperto che non lo sprema più di tanto.

L'allievo limitato è colui che, per assenza di spirito critico, non riuscirà mai a formarsi una coscienza della materia. Ecco allora che preferisce imparare un sacco di nozioni, confondendo la cultura della materia con l'intelligenza della materia.

Infine il vero allievo è colui vuole e riesce a crearsi una coscienza della materia.

the dark side of the moon




PREMESSA:

IL LATO OSCURO DELLA LUNA

Un altro mistero che interessa la Luna è legato al suo "lato oscuro". Infatti, il satellite orbita attorno alla Terra mostrandoci sempre e solo una delle due facce. L'altra, non è mai visibile. Prima che l'uomo vi mettesse piede, si pensava che dall'altra parte, tra le rocce e le valli del lato oscuro, potessero trovarsi basi aliene, una vera e propria colonia extraterrestre. E c'è qualcuno che lo crede possibile ancora oggi. La Nasa è stata sempre molto vaga a tal riguardo, ma ci sarebbero registrazioni di discorsi fatti dagli astronauti con la Terra, in cui si parlerebbe davvero di "oggetti anomali" presenti nello spazio attorno il satellite e di basi aliene site nella parte non visibile da qui. Naturalmente, si tratta di brevi spezzoni "sfuggiti" alla censura operata dall'ente spaziale (sottoposta al governo USA).

OGGETTO:

per me il lato oscuro della luna è il disco più bello che ho mai sentito in vita mia, il disco che mi ha svegliato musicalmente, il termine di paragone per tutto ciò che sento quindi lo consiglio vivamente

RECENSIONE:(ESTRATTO DA ONDAROCK.IT)
E' risaputo che i Pink Floyd hanno prodotto album migliori di "The Dark Side of the Moon", almeno per ciò che concerne l'aspetto strettamente compositivo. L'argomento-principe su cui ogni critica-rock che si rispetti, quando si ha come "vittima" il combo del periodo di Roger Waters, dovrebbe erigere il suo "epicentro" è la disputa su quale sia stata in realtà la missione musicale intrapresa (e poi egregiamente portata a termine) dai Pink Floyd: verranno ricordati e apprezzati più per le straordinarie innovazioni ed evoluzioni apportate al suono, tanto da meritarsi il titolo di "produttori di cibo per le menti" o per aver saputo coniugare suono, hype, possenti wall-of-sound saturi di colori e distorsioni neo-psichedeliche con superbe melodie, a tutt'oggi considerate archetipi-rock a cui fare riferimento? "The Dark Side of the Moon", insuperato marchio sonico-musicale dei Pink Floyd targati Waters, non scioglie il dubbio.

"The Dark Side of the Moon" si pone, nel contesto della musica popolare del XX° secolo, come un ricco laboratorio di esperimenti post-lisergici, ai confini del più spregiudicato art-rock della prima metà degli anni 70. Padrone incontrastato di questa "rivoluzione del suono" è Roger Waters, che, in qualità di alchimista floydiano, rileva già dal 1968 Syd Barrett alla guida della band, auto-erigendosi a folle, incontrollabile setacciatore di nuove sonorità che renderanno il "Floyd-sound" universale e istantaneamente riconoscibile in ogni parte del globo. Ma non si può fare a meno di stendere elogi e contro-elogi sull'elaboratissimo, maniacale sistema audio-fonico impresso sui solchi del disco, grazie al lavoro di un ingegnere del suono del calibro di Alan Parsons, che costituisce l'autentica perla ed epicentro musicale-ideologico di tutta l'operazione.

Waters, Gilmour, Mason e Wright, orfani del genio anarchico e stralunatissimo di Syd Barrett, proseguono il cammino, dando avvio a un percorso (a partire dal celebre doppio - metà live metà in studio - "Ummagumma") capace di toccare vette di sublime, spesso piacevolmente criptata cerebralità, dando in pasto a un ancora acerbo pubblico le loro ricerche e i loro inusuali connubi di rumori vivisezionati dall'"ingordo" Waters e sapientemente tradotti in accattivanti squarci di quotidianità. Una quotidianita' in apparente quanto bizzarro contrasto con la complessità, spesso ingovernabile e astrusa, di una mente come quella di Waters, devastata da paranoie e macabre visioni, in eterna oscillazione tra sogno e realtà, schizofrenia e solenni momenti di lucidità.

"The Dark Side of the Moon" viene pubblicato il 24 marzo 1973 e verrà considerato da gran parte della critica come l'insuperato capolavoro musicale dei Pink Floyd. Cio e' vero solo in parte: il fatto che in esso vengano riunite, impareggiabilmente, tutte le contraddizioni ideologiche e simboliche di Waters non giustifica appieno tale titolo. Volendo staccare i piedi dalla Luna e riposandoli sulla Terra, l'album è e verrà sempre considerato un superbo, inarrivabile rivoluzionario prodotto (nel caso lo intendessimo da un punto di vista strettamente "cerebral-onirico", "sonico/concettuale"), ma al contempo appena discreto nel caso lo riducessimo allo "scheletro", annientandone, cioè, il corpo sonoro e portando alla ribalta le non del tutto ispirate tracce, a cominciare dall'insipida "Money", per poi passare attraverso i trucchi (talvolta ruffiani, talvolta "streganti' le nostre menti, in perenne cerca di .... "cibo lisergico") di "Speak To Me" e "On The Run", perfette comunque nel rendere lo stato di ansia del nostro protagonista, riuscendo a fondere, tra rumori e soluzioni sonore d'avanguardia, momenti di alto contenuto sonico-spaziale, ponendo le coordinate su cui si poggia il pensiero pessimista di un Waters alquanto disorientato, autentico ambasciatore del tema dell'incomunicabilità, di cui "The Dark Side" risulta un compiuto, drammatico spaccato.

Non mancano, per la verità, momenti di intenso, assoluto lirismo, come dimostrano "Time", trascinante nella sua felicissima fusione tra testo e musica, un passo in avanti per un non ancora del tutto sviluppato concetto filosofico all'interno dei parametri-rock, superba prova di lucidità mentale e intellettiva da parte del quartetto; il brano si avvale anche di un debordante (inteso in senso strettamente lirico/evocativo), spiazzante assolo di Gilmour alla chitarra: si ha la sensazione che esso voglia accompagnare il viaggio attraverso il tempo di un coraggioso, anarchico esploratore, in continuo stato di ansiosa curiosità. In definitiva: il trionfo della suggestione e uno degli squarci più intensi di tutta la discografia floydiana.

La prima parte del disco si completa con una elegia della pazzia, ma anche, allo stesso tempo, della libertà dell'uomo, schiavo di una società che tende a opprimerlo: "The Great Gig in the Sky", dominata da vocalizzi femminili di derivazione soul-gospel, in grado di fondere fiammante liricità e drammaturgia quasi cinematografica. In questo coinvolgente, straziante frammento della sua vita, l'uomo sembra librarsi verso il cielo, onde aprirsi un varco, grazie al quale potrà regnare indisturbato e solenne, lontano dai rumori e ingiustizie della realtà terrena.
"Us and Them" vorrebbe rievocare "Breathe In the Air", ma la melodia, sebbene pinkfloydiana al 100%, risulta convincente solo se nel contesto dell'album, non certamente come tema isolato. Un discorso che vale un po' per tutto "The Dark Side of the Moon": ciò che rende immortale quest'opera è il suo inconsueto approccio con l'art-system dell'epoca, qui fotografato in tutte le sue direzioni possibili. Per il rock si tratto' di un prodigioso balzo verso un'era futuristica prossima a venire, mentre per quel che concerneva il songwriting i Pink Floyd hanno certamente scritto pagine di ben piu' elevata caratura artistica.



la 36ma (trentaseiesima) camera dello shaolin

Il miglior film di kung fu che ho mai visto e pure in inglese!
iniziamo con la trama:

Durante la dinastia Qing, il giovane studente Liu Yu-te combatte segretamente le autorità rappresentate dai Manchu. Quando vengono uccisi gli amici e il padre, Yu-te riesce a scappare e trova rifugio nel monastero Shaolin, dove spera di imparare le arti marziali (e dove, diventato monaco, gli verrà dato il nome di San Te). Completerà il suo allenamento solo una volta superate le 35 camere. Ogni camera é progettata per allenare le diverse parti del corpo e testare la capacità di sofferenza, ma anche per accuire la mente e i sensi.

Alla fine San Te lascia il monastero per diffondere le arti marziali tra il popolo e fondando cosi la "36th Chamber".



Il pregio di questo film sono gli allenamenti :assolutamente epici
la prima prova per esempio consiste nel superare una piscina saltando su delle botti poi addirittura saltando sull'acqua come quando lanciamo una pietra che schizza sul mare....
Altre prove sono del tipo prendere a testate dei sacchi per indurire la testa o imparare a maneggiare le armi dello shaolin.....
CAPOLAVORO VOTO 10




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In questo blog scriverò di tutto ciò che mi pare nel modo logicamente più illogico che esista
gli argomenti : informatica,film di kung fu,rock psichedelico, politica ecc.......