Uno dei problemi delle energie rinnovabili è la loro intermittenza: il fotovoltaico non produce energia di notte e l'eolico non funziona senza vento.
Per garantire le fornitura negli orari di punta e fornire un apporto costante alla rete elettrica nel prossimo futuro una soluzione sarà quella di accoppiare ai grossi impianti fotovoltaici o eolici enormi batterie come le batterie di tipo Nas (che contengono zolfo liquido all'elettrodo positivo e sodio liquido all'elettrodo negativo).
E sottolineo enormi batterie (come quelle nella foto) e vedrete che non ce ne importerà molto degli impatti visivi quando rimarremo vittima di qualche black-out e questa volta a causa di problemi post-picco petrolio (vedi la teoria di Olduvai)
Nella foto una batteria Nas per scongiurare black-out in Texas
Batterie di questo tipo vengono costruite dalla giapponese NGK Insulators e dal sito ho visto che possono essere modulate in serie per ottenere diversi MW di carico e durano oltre 15 anni.
qui sotto ho caricato su youtube un video promozionale del loro funzionamento:
Altre volte ho parlato di sistemi per garantire forniture continue da parte delle rinnovabili come sistemi di stoccaggio ad idrogeno realizzati in Germania o ad aria compressa.
Quindi un business che l'Italia sta quasi completamente ignorando è il settore dello stoccaggio dell'energia che sta diventando sempre più importante: un esempio è questa start-up USA (la SustainX finanziata dal Dipartimento dell'energia americano ) che sta lavorando per la produzione di container- batterie di aria pressurizzata attraverso innovativi sistemi di compressioni isoterme e non adiabatiche.
domenica 18 aprile 2010
venerdì 9 aprile 2010
La cattiva strada
Ispirato da Report ho caricato il video inglese sulla sicurezza stradale.
Attenzione le immagini sono molto forti: quindi fatelo vedere a più persone possibili
di seguito lo spot della Cagnotto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti della campagna sulla sicurezza stradale:
E finiamola con sto' perbenismo del ca....!!!
PS: Vedi l'Ipocrita
Attenzione le immagini sono molto forti: quindi fatelo vedere a più persone possibili
di seguito lo spot della Cagnotto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti della campagna sulla sicurezza stradale:
E finiamola con sto' perbenismo del ca....!!!
PS: Vedi l'Ipocrita
NICHOLAS GEORGESCU-ROEGEN E LA BIOECONOMIA
Questo post è volutamente messo nella sezione POLITICA
Il rapporto tra ambiente e attività umana –Il problema
dell’esaurimento delle risorse –La teoria bioeconomica
di Nicholas Georgescu-Roegen
di
ROMANO MOLESTI
Il contributo di Nicholas Georgescu-Roegen
Nello studio del rapporto tra economia e ambiente
merita di essere ricordata l’opera di Nicholas Georgescu-
Roegen. Siamo di fronte a un autore che mette
in discussione gli elementi essenziali di quella che
egli chiama l’economia standard, basata sul modello
meccanicistico, tentando di integrare nella scienza
economica gli apporti delle scienze biologiche. Occorre,
egli afferma, dare un nuovo fondamento
all’economia nel senso di quella che egli definisce
“bioeconomia”. Si tratta di un tentativo di fronte alla
crisi dell’ambiente e all’esaurimento delle risorse,
sempre più palesi, di rimettere in questione le fondamenta
stesse del sistema che ha generato la crisi, e
di gettare le basi per un approccio ispirato alle scienze
della vita.
Per il secondo principio della termodinamica, la
materia-energia che entra nel processo economico, è
in stato di bassa entropia e quella che ne esce è in stato
di alta entropia. L’uomo, come ogni organismo vivente,
combatte la propria degradazione entropica
attraverso l’assimilazione di bassa entropia e il rigetto
nell’ambiente di alta entropia. In tale visione termodinamica
(o bioeconomica) l’uomo cerca di carpire
il più possibile la bassa entropia reperibile nel proprio
ambiente. La bassa entropia è rara in quanto essa
non può essere utilizzata che una sola volta.
Un’eccezione è rappresentata dall’energia del sole,
che è un flusso che ci arriva in quantità per noi illimitata
e per un tempo lunghissimo. La terra è un sistema
termodinamico aperto solo per quanto riguarda
l’apporto dell’energia solare: risulta pertanto evidente
che le risorse a bassa entropia vanno gestite tenendo
conto di questa realtà. La conseguenza di ciò è
che anche i problemi del riciclaggio e
dell’eliminazione dell’inquinamento vanno gestiti tenendo
conto che essi hanno un costo in termini energetici.
L’Autore mette in guardia dal troppo facile
ottimismo circa la possibilità di sostituzione di una
materia, che diventa rara, con un’altra, soprattutto
nella convinzione che, nel futuro, sia possibile una
crescita esponenziale della tecnologia, che permetta
di ridurre continuamente l’input per unità di output.1
A detta di Georgescu-Roegen la bioeconomia deve
fondarsi sull’analisi delle numerose asimmetrie
che esistono tra le fonti di bassa entropia, che costituiscono
la dote dell’umanità, cioè l’energia libera
che riceviamo dal sole, l’energia libera terrestre e le
materie “ordinate” utilizzabili, che sono disponibili
nelle viscere della terra.
Una prima asimmetria consiste nel fatto che, mentre
l’energia solare è un flusso, che quindi non potremmo
togliere a nessuna generazione futura, la materia-
energia terrestre è uno stock, di cui possiamo
disporre tutto insieme o ripartirlo su un lungo periodo
e di cui non conosciamo l’entità, per cui tendiamo a
sopravvalutarlo. La seconda asimmetria deriva dalla
precedente: poiché non sappiamo trasformare
l’energia in materia, l’elemento di gran lunga più critico
è la disponibilità di materia prime a bassa entropia.
Le risorse minerali sembrano, quindi, più difficilmente
aumentabili di quelle energetiche almeno a
lungo andare. La terza asimmetria consiste
nell’enorme differenza tra il flusso di energia solare e
lo stock di energia terrestre libera. Le riserve conosciute
di quest’ultima non rappresentano che due settimane
del flusso di energia che ci arriva dal sole.
Occorre, quindi, riflettere sull’errore che si commette
ogni volta che si sostituisce, quando non è indispensabile,
l’energia solare con quella fossile o terrestre
in genere.
Vanno altresì ricordate le altre asimmetrie, che riguardano
i rischi che l’uomo corre distruggendo le
specie di animali e vegetali, che sono concorrenti con
lui nell’uso di certe risorse terrestri. Dalle varie asimmetrie
prese in esame per l’autore scaturisce la
necessità di attuare un programma bioeconomico minimo,
fondato anzitutto su di una nuova etica, che
rieduchi l’umanità a sentire simpatia per le generazioni
future, che risultano escluse dal mercato e delle
cui esigenze non si tiene alcun conto nella formazione
dei prezzi e delle decisioni.
Sostiene Georgescu-Roegen, che un programma
bioeconomico minimo dovrà essere basato
sull’utilizzo più ampio possibile dell’energia solare,
risparmiando al massimo lo stock terrestre. Occorrerà,
quindi, provvedere alla riduzione della popolazione
fino al livello in cui essa potrà essere nutrita con
un’agricoltura organica; inoltre, ridurre le differenze
tra Paesi ricchi e Paesi poveri e diminuire gli sprechi
dei paesi ricchi; eliminare gli sprechi di energia solare,
concepire i prodotti come durevoli e riparabili, evitare
i miti del sempre più grosso e del sempre più perfezionato
(e quindi sempre più fragile e sempre più
difficile da riparare); eliminare lo spreco delle risorse
negli armamenti, sviluppare un uso intelligente del
tempo libero, adoperare con la massima parsimonia
quegli elementi le cui proprietà fisiche o chimiche
non sono rimpiazzabili e che sono detti “elementi
vitamine”.
Nell’economia standard il capitale sociale e il lavoro
sono convenzionalmente considerati le fonti
del valore aggiunto, mentre ciò a cui il valore viene
aggiunto è fatto di elementi primi indistruttibili offerti
dalla natura, senza che la natura stessa abbia
aggiunto alcun valore. Pur non negando affatto il
valore aggiunto tradizionale, Georgescu-Roegen afferma
che anche la natura in realtà aggiunge valore.
Tale supremazia del valore aggiunto dalla natura
(bassa entropia) porta l’Autore alla nota affermazione
secondo cui “ogni volta che produciamo una
Cadillac distruggiamo irrevocabilmente una data
quantità di bassa entropia che potrebbe essere altrimenti
impiegata per produrre un aratro o una zappa.
In altre parole, ogni volta che produciamo una Cadillac,
lo facciamo al costo di ridurre vite umane future”.
La teoria bioeconomica di N. Georgescu-Roegen
getta nuova luce sul fenomeno della produzione, che
viene ad essere basata sul modello fondi-flussi. Capitale
e lavoro, nell’impostazione roegeniana, costituiscono
i fondi o agenti che trasformano il flusso di
risorse naturali in un flusso di prodotti. Tra fondi e
flussi intercorre una relazione fondamentale di complementarietà
dal momento che la sostituibilità tra
fondi e flussi è strettamente marginale, limitata a
ridurre gli scarti del processo. Costituisce pertanto
una palese forzatura della realtà il voler concepire il
capitale come un sostituto quasi perfetto delle risorse
naturali, come spesso si fa sotto l’influenza delle
funzioni di produzione di tipo Cobb-Douglas.
La teoria bioeconomica
Come abbiamo osservato i recenti sviluppi della
“nuova” rivoluzione scientifica hanno contribuito a
creare un nuovo paradigma che, per quanto riguarda
la bioeconomia, raggiunge la sua massima espressione
nell’opera di Georgescu-Roegen. Nuovo paradigma,
quindi, con passaggio da un’economia basata
sul modello meccanicistico della fisica classica
newtoniana e della filosofia cartesiana a una nuova
visione della realtà. Una nuova impostazione, che
colpisce alla radice i fondamenti dell’economia
standard, ma che finora non ha avuto il successo che
avrebbe meritato. L’economia neoclassica continua
a mantenere le posizioni di preminenza, nonostante
numerose crepe siano state aperte nel suo edificio e
nonostante la realtà storica dimostri la netta insufficienza
dello schema economico standard.
Perché la bioeconomia ha incontrato e continua
ad incontrare tante difficoltà per la sua affermazione?
Riteniamo che la causa di ciò sia attribuibile in
gran parte alla forza d’inerzia che si avverte riguardo
alle teorie economiche in genere e soprattutto riguardo
ai paradigmi economici. È stato affermato, a
nostro avviso non a torto, che quando un’idea penetra
in un libro di testo diventa pressoché immortale,
e questo riteniamo che sia anche il caso
dell’economia standard e dei relativi modelli che si
riferiscono all’economia dell’ambiente. Sovente si
ha a che fare con una sorta di pigrizia mentale, per
cui risulta difficile uscire da schemi e modelli che ci
si è abituati a seguire magari fin dai primi studi accademici.
Inoltre, molti si rendono conto che
l’accettazione di un nuovo paradigma economico
potrebbe in certi casi complicare la vita sul piano
professionale. Consulenti governativi che seguono
determinati indirizzi, docenti inseriti nel mondo accademico,
che fanno parte di determinate scuole e
che, come tali, sono tenuti in un certo senso, ad una
sorta di disciplina di gruppo, avvertono, per le loro
carriere, la pericolosità di repentini cambiamenti.
C’è ancora un altro motivo che contribuisce a
mantenere ancora in vita certi paradigmi meccanicistici,
un motivo che potremmo definire interno al
modello. Il paradigma dell’economia standard porta
ad attribuire una particolare importanza ai concetti
aritmomorfici, quelli tipici, ad esempio, delle scienze
esatte ma che consistono comunque in dati ed assunzioni
ben precisi specie per quanto riguarda il
numero, il peso, l’estensione, ecc. I concetti dialettici,
che invece vengono in evidenza nella bioeconomia,
sono concetti sfumati in cui si passa da una
definizione ad un’altra per gradi, sovente impercettibili.
Ecco, ora, che il maneggiare tali concetti richiede
uno sforzo di indagine certamente maggiore
e conduce a risultati che, per quanto possano essere
ritenuti validi, si presentano comunque in una forma,
per così dire, problematica.
Un altro elemento può forse contribuire a creare
qualche perplessità in coloro che non vogliono guardare
in faccia la realtà, preferendo accettare schemi
e modelli improntati a posizioni ottimistiche, anche
se queste poi risultano in definitiva irrealistiche.
Risulta in tutto e per tutto evidente che
l’impostazione di Georgescu-Roegen e della bioeconomia
ci mettono di fronte ad una realtà che, per
certi aspetti, risulta tutt’altro che confortante. La
bioeconomia ci dice che la terra su cui viviamo ha
dei limiti ben precisi, che la razza umana, se vuole
sopravvivere, deve adeguare il suo comportamento
alle esigenze del pianeta, evitando modi di vivere
irrazionali e stravaganti, che sono in netto contrasto
con i limiti biofisici della terra e con la seconda legge
della termodinamica.
La seconda legge, appunto. È questo un aspetto
nodale di tutta l’impostazione bioeconomica. Tale
legge ci dice che l’energia si degrada irrimediabilmente
da energia utilizzabile a energia non più utilizzabile.
Il quadro è completato da quella che Georgescu-
Roegen definisce come la quarta legge della
termodinamica, un principio individuato
dall’Autore, secondo cui non solo l’energia ma anche
la materia si degrada. Ora, si è discusso a lungo
se tal enunciato possa, per così dire, essere elevato
al rango di legge scientifica. I fisici, in genere, non
si sono mostrati entusiasti nel considerare
l’asserzione di Georgescu-Roegen come una possibile
quarta legge della termodinamica. In ogni caso,
si possa o non si possa parlare di una quarta legge
della termodinamica, il problema che pone l’Autore
è un problema reale. Oltre all’energia anche la materia
si degrada: il riciclaggio completo non è possibile,
anche ammesso che si disponga d’energia a
sufficienza. Gli elementi di cui l’uomo può avvalersi
subiscono un’usura progressiva per cui, anche il
voler mantenere uno stato stazionario, potrebbe risultare
un’utopia. Il poter continuare a coltivare due
spighe di grano dove ne nascevano altrettante sarebbe
già un miracolo.
Che sia accettabile o meno la cosiddetta quarta
legge della termodinamica, il problema che ci sta
davanti è comunque un problema da cui non si può
prescindere, al di là di meri nominalismi. Anche
senza volere addentrarci in questa sede in discussioni
che ci porterebbero troppo lontano, ci sembra opportuno
ricordare quanto ci dichiarò una volta Georgescu-
Roegen nel corso di una conversazione: Ilya
Prigogine, cui egli aveva chiesto un giudizio sulla
validità o meno, dal punto di vista della fisica,
della cosiddetta quarta legge della termodinamica,
non si era mai espresso negativamente al riguardo,
limitandosi a sospendere il giudizio.
L’impostazione di Georgescu Roegen si differenzia
notevolmente da quella di tanti assertori dello
sviluppo sostenibile: quest’ultimo concetto, per come
viene definito, si presta ad essere diretto, se non
in tutte, almeno in molte direzioni. Sia coloro che si
occupano dell’ambiente sia coloro che non se ne occupano,
in genere tutti oggi parlano di sviluppo sostenibile,
che sovente si riduce ad un’espressione
priva di significato, un’espressione con cui spesso
vengono contrabbandate le impostazioni più disparate.
Innanzi tutto ci sono i problemi della sostenibilità
debole e della sostenibilità forte, due impostazioni
che, nonostante facciano riferimento entrambe
al termine sostenibilità, come abbiamo visto hanno
ben poco in comune. Sotto questo aspetto ci sembra
alquanto ottimistica l’affermazione di Daly, secondo
cui la sostenibilità debole costituisce già un passo
in avanti rispetto alla posizione dell’economia
standard. Potremmo anche capovolgere il discorso e
affermare che una posizione, che si riduce a poco
più di un esercizio verbale, non solo non costituisce
un reale progresso ma, a ben guardare le cose, può
rappresentare anche un pericolo in quanto può dare,
in alcuni casi, l’impressione che si sia pervenuti ad
un mutamento di indirizzo mentre l’impostazione di
fondo è rimasta pressoché invariata.
Rimane da chiarire se, con il concetto di sostenibilità
forte, la questione possa considerarsi avviata a
soluzione o se anche questo concetto risulti insufficiente.
A questo proposito il discorso deve farsi articolato.
Riteniamo che, rispetto all’economia standard,
tuttora ancorata al paradigma meccanicistico,
il concetto di sostenibilità forte costituisca un grosso
passo in avanti e che, quindi, meriti la più ampia
considerazione. Resta, comunque, da vedere se esso
possa risultare ancora valido a lungo termine.
A questo riguardo occorre considerare separatamente
due aspetti. L’economia standard risulta tuttora
ancorata al dogma meccanicistico per cui si
presentano notevoli difficoltà per un cambio radicale
di indirizzo. È già difficile far accettare a certi
rappresentanti della cultura economica consolidata i
principi della sostenibilità, per cui una battaglia per
obiettivi ancora più radicali potrebbe risultare già in
partenza votata al fallimento. Il concetto di sostenibilità
forte potrebbe invece costituire un obiettivo più
concretamente perseguibile.
Un nuovo approccio per lo sviluppo futuro
Nell’esame che abbiamo compiuto all’inizio
sugli aspetti caratterizzati la rivoluzione delle
scienze, abbiamo visto come oggi sia chiaramente
emerso un nuovo paradigma scientifico che si incardina
sui concetti di complessità, sistematicità,
ecc. Comunque si voglia vedere la cosa, la vita sul
pianeta si svolge sotto il dominio di queste due
leggi della termodinamica, la seconda e la quarta.
Ora, se questo è vero, la situazione, nel lungo termine
non può certo essere definita rosea. Anche
ipotizzando i più grandi sviluppi della scienza nel
futuro, l’uomo dovrà sempre fare i conti con la seconda
legge della termodinamica per cui, contrariamente
a quanto potessero pensare anche i più
ottimisti, sarebbe comunque fuori luogo parlare
delle “magnifiche sorti e progressive”.
Nel lungo termine non possono essere ipotizzate
forme di progresso economico che portino ad
aumenti della produzione così come noi oggi li intendiamo.
Costituiscono dei limiti invalicabili: la
finitezza del pianeta terra e delle sue risorse e la
legge di entropia. Sono questi i cardini che debbono
essere tenuti presenti: è solo su questi che deve
basarsi ogni ragionamento sulle prospettive future,
sugli scenari possibili. Non si tratta tanto di essere
ottimisti o pessimisti quanto di prendere atto della
realtà quale essa si presenta.
Secondo l’impostazione di Georgescu-Roegen,
nel lungo periodo anche una situazione stazionaria
risulta di difficile attuazione per cui non si potrebbe
più parlare di sviluppo sostenibile anche in termini
di sostenibilità forte. Questa è la situazione,
di cui, piaccia o non piaccia, si dovrebbe prendere
atto.
Indubbiamente non è certo una strada facile
quella che dovrà essere percorsa. Una strada che
richiede sacrifici, che possono essere compiuti solo
a seguito di adeguate motivazioni. E quali potranno
essere queste motivazioni? Occorrerà soprattutto
una nuova etica che, nel caso specifico, dovrà
riguardare i nostri rapporti con le generazioni future,
nei confronti delle quali dovrà svilupparsi un
nuovo sentimento di affezione.
Se all’inizio – afferma Georgescu-Roegen – fu
detto: “non uccidere” e poi “ama il prossimo tuo
come te stesso”, il nuovo comandamento dovrà essere
“ama le generazioni future come te stesso”.
Questo è un imperativo categorico dal quale non si
può prescindere. Un imperativo che risulterà tanto
più attuabile quanto più si cercherà in ogni modo
di instillare in tutti, specie nelle nuove generazioni,
questo nuovo tipo di cultura.
L’ultimo anello della catena, che, come abbiamo
osservato, comporta una serie di passaggi logici,
consiste dunque nel cercare di creare una nuova
mentalità, un nuovo approccio ai problemi
dell’ecologia.
A tale scopo sarà necessaria un’opera di educazione
e di diffusione della cultura ambientale.
L’homo oecologicus sarà formato nella famiglia,
educato nella scuola e completato nell’impegno
svolto nelle associazioni ambientalistiche.
Se l’ecologia costituisce una dimensione globale
della vita (oikos, la casa di tutti) è evidente che
la soluzione dei problemi, che essa comporta, non
potrà che essere trovata in un approccio globale,
approccio nel quale l’elemento dell’educazione riveste
un ruolo fondamentale.
Romano Molesti
Romano Molesti è professore ordinario di Storia
del Pensiero Economico nell’Università di Verona
e Presidente dell’ANEAT, Associazione Nazionale
degli Economisti dell’Ambiente e del Territorio
NOTE
1) N. GEORGESCU-ROEGEN, Demain la Dècroissance,
Lausanne, 1979, p. 18.
2) N. GEORGESCU-ROEGEN, L’Energie et les Mithes
Economiques, in Demain la Décroissance, cit.
3) N. GEORGESCU-ROEGEN, La legge di entropia e il
problema economico, in Analisi economica e processo
economico, Sansoni, Firenze 1973, p. 278.
4) N. GEORGESCU-ROEGEN, Lo stato stazionario e la
salvezza ecologica: un’analisi termodinamica, in “Economia
e ambiente”, n. 1, 1984, p. 15.
Il rapporto tra ambiente e attività umana –Il problema
dell’esaurimento delle risorse –La teoria bioeconomica
di Nicholas Georgescu-Roegen
di
ROMANO MOLESTI
Il contributo di Nicholas Georgescu-Roegen
Nello studio del rapporto tra economia e ambiente
merita di essere ricordata l’opera di Nicholas Georgescu-
Roegen. Siamo di fronte a un autore che mette
in discussione gli elementi essenziali di quella che
egli chiama l’economia standard, basata sul modello
meccanicistico, tentando di integrare nella scienza
economica gli apporti delle scienze biologiche. Occorre,
egli afferma, dare un nuovo fondamento
all’economia nel senso di quella che egli definisce
“bioeconomia”. Si tratta di un tentativo di fronte alla
crisi dell’ambiente e all’esaurimento delle risorse,
sempre più palesi, di rimettere in questione le fondamenta
stesse del sistema che ha generato la crisi, e
di gettare le basi per un approccio ispirato alle scienze
della vita.
Per il secondo principio della termodinamica, la
materia-energia che entra nel processo economico, è
in stato di bassa entropia e quella che ne esce è in stato
di alta entropia. L’uomo, come ogni organismo vivente,
combatte la propria degradazione entropica
attraverso l’assimilazione di bassa entropia e il rigetto
nell’ambiente di alta entropia. In tale visione termodinamica
(o bioeconomica) l’uomo cerca di carpire
il più possibile la bassa entropia reperibile nel proprio
ambiente. La bassa entropia è rara in quanto essa
non può essere utilizzata che una sola volta.
Un’eccezione è rappresentata dall’energia del sole,
che è un flusso che ci arriva in quantità per noi illimitata
e per un tempo lunghissimo. La terra è un sistema
termodinamico aperto solo per quanto riguarda
l’apporto dell’energia solare: risulta pertanto evidente
che le risorse a bassa entropia vanno gestite tenendo
conto di questa realtà. La conseguenza di ciò è
che anche i problemi del riciclaggio e
dell’eliminazione dell’inquinamento vanno gestiti tenendo
conto che essi hanno un costo in termini energetici.
L’Autore mette in guardia dal troppo facile
ottimismo circa la possibilità di sostituzione di una
materia, che diventa rara, con un’altra, soprattutto
nella convinzione che, nel futuro, sia possibile una
crescita esponenziale della tecnologia, che permetta
di ridurre continuamente l’input per unità di output.1
A detta di Georgescu-Roegen la bioeconomia deve
fondarsi sull’analisi delle numerose asimmetrie
che esistono tra le fonti di bassa entropia, che costituiscono
la dote dell’umanità, cioè l’energia libera
che riceviamo dal sole, l’energia libera terrestre e le
materie “ordinate” utilizzabili, che sono disponibili
nelle viscere della terra.
Una prima asimmetria consiste nel fatto che, mentre
l’energia solare è un flusso, che quindi non potremmo
togliere a nessuna generazione futura, la materia-
energia terrestre è uno stock, di cui possiamo
disporre tutto insieme o ripartirlo su un lungo periodo
e di cui non conosciamo l’entità, per cui tendiamo a
sopravvalutarlo. La seconda asimmetria deriva dalla
precedente: poiché non sappiamo trasformare
l’energia in materia, l’elemento di gran lunga più critico
è la disponibilità di materia prime a bassa entropia.
Le risorse minerali sembrano, quindi, più difficilmente
aumentabili di quelle energetiche almeno a
lungo andare. La terza asimmetria consiste
nell’enorme differenza tra il flusso di energia solare e
lo stock di energia terrestre libera. Le riserve conosciute
di quest’ultima non rappresentano che due settimane
del flusso di energia che ci arriva dal sole.
Occorre, quindi, riflettere sull’errore che si commette
ogni volta che si sostituisce, quando non è indispensabile,
l’energia solare con quella fossile o terrestre
in genere.
Vanno altresì ricordate le altre asimmetrie, che riguardano
i rischi che l’uomo corre distruggendo le
specie di animali e vegetali, che sono concorrenti con
lui nell’uso di certe risorse terrestri. Dalle varie asimmetrie
prese in esame per l’autore scaturisce la
necessità di attuare un programma bioeconomico minimo,
fondato anzitutto su di una nuova etica, che
rieduchi l’umanità a sentire simpatia per le generazioni
future, che risultano escluse dal mercato e delle
cui esigenze non si tiene alcun conto nella formazione
dei prezzi e delle decisioni.
Sostiene Georgescu-Roegen, che un programma
bioeconomico minimo dovrà essere basato
sull’utilizzo più ampio possibile dell’energia solare,
risparmiando al massimo lo stock terrestre. Occorrerà,
quindi, provvedere alla riduzione della popolazione
fino al livello in cui essa potrà essere nutrita con
un’agricoltura organica; inoltre, ridurre le differenze
tra Paesi ricchi e Paesi poveri e diminuire gli sprechi
dei paesi ricchi; eliminare gli sprechi di energia solare,
concepire i prodotti come durevoli e riparabili, evitare
i miti del sempre più grosso e del sempre più perfezionato
(e quindi sempre più fragile e sempre più
difficile da riparare); eliminare lo spreco delle risorse
negli armamenti, sviluppare un uso intelligente del
tempo libero, adoperare con la massima parsimonia
quegli elementi le cui proprietà fisiche o chimiche
non sono rimpiazzabili e che sono detti “elementi
vitamine”.
Nell’economia standard il capitale sociale e il lavoro
sono convenzionalmente considerati le fonti
del valore aggiunto, mentre ciò a cui il valore viene
aggiunto è fatto di elementi primi indistruttibili offerti
dalla natura, senza che la natura stessa abbia
aggiunto alcun valore. Pur non negando affatto il
valore aggiunto tradizionale, Georgescu-Roegen afferma
che anche la natura in realtà aggiunge valore.
Tale supremazia del valore aggiunto dalla natura
(bassa entropia) porta l’Autore alla nota affermazione
secondo cui “ogni volta che produciamo una
Cadillac distruggiamo irrevocabilmente una data
quantità di bassa entropia che potrebbe essere altrimenti
impiegata per produrre un aratro o una zappa.
In altre parole, ogni volta che produciamo una Cadillac,
lo facciamo al costo di ridurre vite umane future”.
La teoria bioeconomica di N. Georgescu-Roegen
getta nuova luce sul fenomeno della produzione, che
viene ad essere basata sul modello fondi-flussi. Capitale
e lavoro, nell’impostazione roegeniana, costituiscono
i fondi o agenti che trasformano il flusso di
risorse naturali in un flusso di prodotti. Tra fondi e
flussi intercorre una relazione fondamentale di complementarietà
dal momento che la sostituibilità tra
fondi e flussi è strettamente marginale, limitata a
ridurre gli scarti del processo. Costituisce pertanto
una palese forzatura della realtà il voler concepire il
capitale come un sostituto quasi perfetto delle risorse
naturali, come spesso si fa sotto l’influenza delle
funzioni di produzione di tipo Cobb-Douglas.
La teoria bioeconomica
Come abbiamo osservato i recenti sviluppi della
“nuova” rivoluzione scientifica hanno contribuito a
creare un nuovo paradigma che, per quanto riguarda
la bioeconomia, raggiunge la sua massima espressione
nell’opera di Georgescu-Roegen. Nuovo paradigma,
quindi, con passaggio da un’economia basata
sul modello meccanicistico della fisica classica
newtoniana e della filosofia cartesiana a una nuova
visione della realtà. Una nuova impostazione, che
colpisce alla radice i fondamenti dell’economia
standard, ma che finora non ha avuto il successo che
avrebbe meritato. L’economia neoclassica continua
a mantenere le posizioni di preminenza, nonostante
numerose crepe siano state aperte nel suo edificio e
nonostante la realtà storica dimostri la netta insufficienza
dello schema economico standard.
Perché la bioeconomia ha incontrato e continua
ad incontrare tante difficoltà per la sua affermazione?
Riteniamo che la causa di ciò sia attribuibile in
gran parte alla forza d’inerzia che si avverte riguardo
alle teorie economiche in genere e soprattutto riguardo
ai paradigmi economici. È stato affermato, a
nostro avviso non a torto, che quando un’idea penetra
in un libro di testo diventa pressoché immortale,
e questo riteniamo che sia anche il caso
dell’economia standard e dei relativi modelli che si
riferiscono all’economia dell’ambiente. Sovente si
ha a che fare con una sorta di pigrizia mentale, per
cui risulta difficile uscire da schemi e modelli che ci
si è abituati a seguire magari fin dai primi studi accademici.
Inoltre, molti si rendono conto che
l’accettazione di un nuovo paradigma economico
potrebbe in certi casi complicare la vita sul piano
professionale. Consulenti governativi che seguono
determinati indirizzi, docenti inseriti nel mondo accademico,
che fanno parte di determinate scuole e
che, come tali, sono tenuti in un certo senso, ad una
sorta di disciplina di gruppo, avvertono, per le loro
carriere, la pericolosità di repentini cambiamenti.
C’è ancora un altro motivo che contribuisce a
mantenere ancora in vita certi paradigmi meccanicistici,
un motivo che potremmo definire interno al
modello. Il paradigma dell’economia standard porta
ad attribuire una particolare importanza ai concetti
aritmomorfici, quelli tipici, ad esempio, delle scienze
esatte ma che consistono comunque in dati ed assunzioni
ben precisi specie per quanto riguarda il
numero, il peso, l’estensione, ecc. I concetti dialettici,
che invece vengono in evidenza nella bioeconomia,
sono concetti sfumati in cui si passa da una
definizione ad un’altra per gradi, sovente impercettibili.
Ecco, ora, che il maneggiare tali concetti richiede
uno sforzo di indagine certamente maggiore
e conduce a risultati che, per quanto possano essere
ritenuti validi, si presentano comunque in una forma,
per così dire, problematica.
Un altro elemento può forse contribuire a creare
qualche perplessità in coloro che non vogliono guardare
in faccia la realtà, preferendo accettare schemi
e modelli improntati a posizioni ottimistiche, anche
se queste poi risultano in definitiva irrealistiche.
Risulta in tutto e per tutto evidente che
l’impostazione di Georgescu-Roegen e della bioeconomia
ci mettono di fronte ad una realtà che, per
certi aspetti, risulta tutt’altro che confortante. La
bioeconomia ci dice che la terra su cui viviamo ha
dei limiti ben precisi, che la razza umana, se vuole
sopravvivere, deve adeguare il suo comportamento
alle esigenze del pianeta, evitando modi di vivere
irrazionali e stravaganti, che sono in netto contrasto
con i limiti biofisici della terra e con la seconda legge
della termodinamica.
La seconda legge, appunto. È questo un aspetto
nodale di tutta l’impostazione bioeconomica. Tale
legge ci dice che l’energia si degrada irrimediabilmente
da energia utilizzabile a energia non più utilizzabile.
Il quadro è completato da quella che Georgescu-
Roegen definisce come la quarta legge della
termodinamica, un principio individuato
dall’Autore, secondo cui non solo l’energia ma anche
la materia si degrada. Ora, si è discusso a lungo
se tal enunciato possa, per così dire, essere elevato
al rango di legge scientifica. I fisici, in genere, non
si sono mostrati entusiasti nel considerare
l’asserzione di Georgescu-Roegen come una possibile
quarta legge della termodinamica. In ogni caso,
si possa o non si possa parlare di una quarta legge
della termodinamica, il problema che pone l’Autore
è un problema reale. Oltre all’energia anche la materia
si degrada: il riciclaggio completo non è possibile,
anche ammesso che si disponga d’energia a
sufficienza. Gli elementi di cui l’uomo può avvalersi
subiscono un’usura progressiva per cui, anche il
voler mantenere uno stato stazionario, potrebbe risultare
un’utopia. Il poter continuare a coltivare due
spighe di grano dove ne nascevano altrettante sarebbe
già un miracolo.
Che sia accettabile o meno la cosiddetta quarta
legge della termodinamica, il problema che ci sta
davanti è comunque un problema da cui non si può
prescindere, al di là di meri nominalismi. Anche
senza volere addentrarci in questa sede in discussioni
che ci porterebbero troppo lontano, ci sembra opportuno
ricordare quanto ci dichiarò una volta Georgescu-
Roegen nel corso di una conversazione: Ilya
Prigogine, cui egli aveva chiesto un giudizio sulla
validità o meno, dal punto di vista della fisica,
della cosiddetta quarta legge della termodinamica,
non si era mai espresso negativamente al riguardo,
limitandosi a sospendere il giudizio.
L’impostazione di Georgescu Roegen si differenzia
notevolmente da quella di tanti assertori dello
sviluppo sostenibile: quest’ultimo concetto, per come
viene definito, si presta ad essere diretto, se non
in tutte, almeno in molte direzioni. Sia coloro che si
occupano dell’ambiente sia coloro che non se ne occupano,
in genere tutti oggi parlano di sviluppo sostenibile,
che sovente si riduce ad un’espressione
priva di significato, un’espressione con cui spesso
vengono contrabbandate le impostazioni più disparate.
Innanzi tutto ci sono i problemi della sostenibilità
debole e della sostenibilità forte, due impostazioni
che, nonostante facciano riferimento entrambe
al termine sostenibilità, come abbiamo visto hanno
ben poco in comune. Sotto questo aspetto ci sembra
alquanto ottimistica l’affermazione di Daly, secondo
cui la sostenibilità debole costituisce già un passo
in avanti rispetto alla posizione dell’economia
standard. Potremmo anche capovolgere il discorso e
affermare che una posizione, che si riduce a poco
più di un esercizio verbale, non solo non costituisce
un reale progresso ma, a ben guardare le cose, può
rappresentare anche un pericolo in quanto può dare,
in alcuni casi, l’impressione che si sia pervenuti ad
un mutamento di indirizzo mentre l’impostazione di
fondo è rimasta pressoché invariata.
Rimane da chiarire se, con il concetto di sostenibilità
forte, la questione possa considerarsi avviata a
soluzione o se anche questo concetto risulti insufficiente.
A questo proposito il discorso deve farsi articolato.
Riteniamo che, rispetto all’economia standard,
tuttora ancorata al paradigma meccanicistico,
il concetto di sostenibilità forte costituisca un grosso
passo in avanti e che, quindi, meriti la più ampia
considerazione. Resta, comunque, da vedere se esso
possa risultare ancora valido a lungo termine.
A questo riguardo occorre considerare separatamente
due aspetti. L’economia standard risulta tuttora
ancorata al dogma meccanicistico per cui si
presentano notevoli difficoltà per un cambio radicale
di indirizzo. È già difficile far accettare a certi
rappresentanti della cultura economica consolidata i
principi della sostenibilità, per cui una battaglia per
obiettivi ancora più radicali potrebbe risultare già in
partenza votata al fallimento. Il concetto di sostenibilità
forte potrebbe invece costituire un obiettivo più
concretamente perseguibile.
Un nuovo approccio per lo sviluppo futuro
Nell’esame che abbiamo compiuto all’inizio
sugli aspetti caratterizzati la rivoluzione delle
scienze, abbiamo visto come oggi sia chiaramente
emerso un nuovo paradigma scientifico che si incardina
sui concetti di complessità, sistematicità,
ecc. Comunque si voglia vedere la cosa, la vita sul
pianeta si svolge sotto il dominio di queste due
leggi della termodinamica, la seconda e la quarta.
Ora, se questo è vero, la situazione, nel lungo termine
non può certo essere definita rosea. Anche
ipotizzando i più grandi sviluppi della scienza nel
futuro, l’uomo dovrà sempre fare i conti con la seconda
legge della termodinamica per cui, contrariamente
a quanto potessero pensare anche i più
ottimisti, sarebbe comunque fuori luogo parlare
delle “magnifiche sorti e progressive”.
Nel lungo termine non possono essere ipotizzate
forme di progresso economico che portino ad
aumenti della produzione così come noi oggi li intendiamo.
Costituiscono dei limiti invalicabili: la
finitezza del pianeta terra e delle sue risorse e la
legge di entropia. Sono questi i cardini che debbono
essere tenuti presenti: è solo su questi che deve
basarsi ogni ragionamento sulle prospettive future,
sugli scenari possibili. Non si tratta tanto di essere
ottimisti o pessimisti quanto di prendere atto della
realtà quale essa si presenta.
Secondo l’impostazione di Georgescu-Roegen,
nel lungo periodo anche una situazione stazionaria
risulta di difficile attuazione per cui non si potrebbe
più parlare di sviluppo sostenibile anche in termini
di sostenibilità forte. Questa è la situazione,
di cui, piaccia o non piaccia, si dovrebbe prendere
atto.
Indubbiamente non è certo una strada facile
quella che dovrà essere percorsa. Una strada che
richiede sacrifici, che possono essere compiuti solo
a seguito di adeguate motivazioni. E quali potranno
essere queste motivazioni? Occorrerà soprattutto
una nuova etica che, nel caso specifico, dovrà
riguardare i nostri rapporti con le generazioni future,
nei confronti delle quali dovrà svilupparsi un
nuovo sentimento di affezione.
Se all’inizio – afferma Georgescu-Roegen – fu
detto: “non uccidere” e poi “ama il prossimo tuo
come te stesso”, il nuovo comandamento dovrà essere
“ama le generazioni future come te stesso”.
Questo è un imperativo categorico dal quale non si
può prescindere. Un imperativo che risulterà tanto
più attuabile quanto più si cercherà in ogni modo
di instillare in tutti, specie nelle nuove generazioni,
questo nuovo tipo di cultura.
L’ultimo anello della catena, che, come abbiamo
osservato, comporta una serie di passaggi logici,
consiste dunque nel cercare di creare una nuova
mentalità, un nuovo approccio ai problemi
dell’ecologia.
A tale scopo sarà necessaria un’opera di educazione
e di diffusione della cultura ambientale.
L’homo oecologicus sarà formato nella famiglia,
educato nella scuola e completato nell’impegno
svolto nelle associazioni ambientalistiche.
Se l’ecologia costituisce una dimensione globale
della vita (oikos, la casa di tutti) è evidente che
la soluzione dei problemi, che essa comporta, non
potrà che essere trovata in un approccio globale,
approccio nel quale l’elemento dell’educazione riveste
un ruolo fondamentale.
Romano Molesti
Romano Molesti è professore ordinario di Storia
del Pensiero Economico nell’Università di Verona
e Presidente dell’ANEAT, Associazione Nazionale
degli Economisti dell’Ambiente e del Territorio
NOTE
1) N. GEORGESCU-ROEGEN, Demain la Dècroissance,
Lausanne, 1979, p. 18.
2) N. GEORGESCU-ROEGEN, L’Energie et les Mithes
Economiques, in Demain la Décroissance, cit.
3) N. GEORGESCU-ROEGEN, La legge di entropia e il
problema economico, in Analisi economica e processo
economico, Sansoni, Firenze 1973, p. 278.
4) N. GEORGESCU-ROEGEN, Lo stato stazionario e la
salvezza ecologica: un’analisi termodinamica, in “Economia
e ambiente”, n. 1, 1984, p. 15.
martedì 6 aprile 2010
Georgescu-Roegen colpisce ancora...
PREZZI DEL FERRO ALLE STELLE!!!
Industria Ue in allarme per i rincari del ferro
suggerisco ai vertici dell'ANIMA (Federazione delle Associazioni Nazionali dell'Industria Meccanica Varia e Affine) di regalarsi il seguente libro:
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