venerdì 9 aprile 2010

NICHOLAS GEORGESCU-ROEGEN E LA BIOECONOMIA

Questo post è volutamente messo nella sezione POLITICA

Il rapporto tra ambiente e attività umana –Il problema

dell’esaurimento delle risorse –La teoria bioeconomica

di Nicholas Georgescu-Roegen

di

ROMANO MOLESTI

Il contributo di Nicholas Georgescu-Roegen

Nello studio del rapporto tra economia e ambiente

merita di essere ricordata l’opera di Nicholas Georgescu-

Roegen. Siamo di fronte a un autore che mette

in discussione gli elementi essenziali di quella che

egli chiama l’economia standard, basata sul modello

meccanicistico, tentando di integrare nella scienza

economica gli apporti delle scienze biologiche. Occorre,

egli afferma, dare un nuovo fondamento

all’economia nel senso di quella che egli definisce

“bioeconomia”. Si tratta di un tentativo di fronte alla

crisi dell’ambiente e all’esaurimento delle risorse,

sempre più palesi, di rimettere in questione le fondamenta

stesse del sistema che ha generato la crisi, e

di gettare le basi per un approccio ispirato alle scienze

della vita.

Per il secondo principio della termodinamica, la

materia-energia che entra nel processo economico, è

in stato di bassa entropia e quella che ne esce è in stato

di alta entropia. L’uomo, come ogni organismo vivente,

combatte la propria degradazione entropica

attraverso l’assimilazione di bassa entropia e il rigetto

nell’ambiente di alta entropia. In tale visione termodinamica

(o bioeconomica) l’uomo cerca di carpire

il più possibile la bassa entropia reperibile nel proprio

ambiente. La bassa entropia è rara in quanto essa

non può essere utilizzata che una sola volta.

Un’eccezione è rappresentata dall’energia del sole,

che è un flusso che ci arriva in quantità per noi illimitata

e per un tempo lunghissimo. La terra è un sistema

termodinamico aperto solo per quanto riguarda

l’apporto dell’energia solare: risulta pertanto evidente

che le risorse a bassa entropia vanno gestite tenendo

conto di questa realtà. La conseguenza di ciò è

che anche i problemi del riciclaggio e

dell’eliminazione dell’inquinamento vanno gestiti tenendo

conto che essi hanno un costo in termini energetici.

L’Autore mette in guardia dal troppo facile

ottimismo circa la possibilità di sostituzione di una

materia, che diventa rara, con un’altra, soprattutto

nella convinzione che, nel futuro, sia possibile una

crescita esponenziale della tecnologia, che permetta

di ridurre continuamente l’input per unità di output.1

A detta di Georgescu-Roegen la bioeconomia deve

fondarsi sull’analisi delle numerose asimmetrie

che esistono tra le fonti di bassa entropia, che costituiscono

la dote dell’umanità, cioè l’energia libera

che riceviamo dal sole, l’energia libera terrestre e le

materie “ordinate” utilizzabili, che sono disponibili

nelle viscere della terra.

Una prima asimmetria consiste nel fatto che, mentre

l’energia solare è un flusso, che quindi non potremmo

togliere a nessuna generazione futura, la materia-

energia terrestre è uno stock, di cui possiamo

disporre tutto insieme o ripartirlo su un lungo periodo

e di cui non conosciamo l’entità, per cui tendiamo a

sopravvalutarlo. La seconda asimmetria deriva dalla

precedente: poiché non sappiamo trasformare

l’energia in materia, l’elemento di gran lunga più critico

è la disponibilità di materia prime a bassa entropia.

Le risorse minerali sembrano, quindi, più difficilmente

aumentabili di quelle energetiche almeno a

lungo andare. La terza asimmetria consiste

nell’enorme differenza tra il flusso di energia solare e

lo stock di energia terrestre libera. Le riserve conosciute

di quest’ultima non rappresentano che due settimane

del flusso di energia che ci arriva dal sole.

Occorre, quindi, riflettere sull’errore che si commette

ogni volta che si sostituisce, quando non è indispensabile,

l’energia solare con quella fossile o terrestre

in genere.

Vanno altresì ricordate le altre asimmetrie, che riguardano

i rischi che l’uomo corre distruggendo le

specie di animali e vegetali, che sono concorrenti con

lui nell’uso di certe risorse terrestri. Dalle varie asimmetrie

prese in esame per l’autore scaturisce la

necessità di attuare un programma bioeconomico minimo,

fondato anzitutto su di una nuova etica, che

rieduchi l’umanità a sentire simpatia per le generazioni

future, che risultano escluse dal mercato e delle

cui esigenze non si tiene alcun conto nella formazione

dei prezzi e delle decisioni.

Sostiene Georgescu-Roegen, che un programma

bioeconomico minimo dovrà essere basato

sull’utilizzo più ampio possibile dell’energia solare,

risparmiando al massimo lo stock terrestre. Occorrerà,

quindi, provvedere alla riduzione della popolazione

fino al livello in cui essa potrà essere nutrita con

un’agricoltura organica; inoltre, ridurre le differenze

tra Paesi ricchi e Paesi poveri e diminuire gli sprechi

dei paesi ricchi; eliminare gli sprechi di energia solare,

concepire i prodotti come durevoli e riparabili, evitare

i miti del sempre più grosso e del sempre più perfezionato

(e quindi sempre più fragile e sempre più

difficile da riparare); eliminare lo spreco delle risorse

negli armamenti, sviluppare un uso intelligente del

tempo libero, adoperare con la massima parsimonia

quegli elementi le cui proprietà fisiche o chimiche

non sono rimpiazzabili e che sono detti “elementi

vitamine”.

Nell’economia standard il capitale sociale e il lavoro

sono convenzionalmente considerati le fonti

del valore aggiunto, mentre ciò a cui il valore viene

aggiunto è fatto di elementi primi indistruttibili offerti

dalla natura, senza che la natura stessa abbia

aggiunto alcun valore. Pur non negando affatto il

valore aggiunto tradizionale, Georgescu-Roegen afferma

che anche la natura in realtà aggiunge valore.

Tale supremazia del valore aggiunto dalla natura

(bassa entropia) porta l’Autore alla nota affermazione

secondo cui “ogni volta che produciamo una

Cadillac distruggiamo irrevocabilmente una data

quantità di bassa entropia che potrebbe essere altrimenti

impiegata per produrre un aratro o una zappa.

In altre parole, ogni volta che produciamo una Cadillac,

lo facciamo al costo di ridurre vite umane future”.

La teoria bioeconomica di N. Georgescu-Roegen

getta nuova luce sul fenomeno della produzione, che

viene ad essere basata sul modello fondi-flussi. Capitale

e lavoro, nell’impostazione roegeniana, costituiscono

i fondi o agenti che trasformano il flusso di

risorse naturali in un flusso di prodotti. Tra fondi e

flussi intercorre una relazione fondamentale di complementarietà

dal momento che la sostituibilità tra

fondi e flussi è strettamente marginale, limitata a

ridurre gli scarti del processo. Costituisce pertanto

una palese forzatura della realtà il voler concepire il

capitale come un sostituto quasi perfetto delle risorse

naturali, come spesso si fa sotto l’influenza delle

funzioni di produzione di tipo Cobb-Douglas.

La teoria bioeconomica

Come abbiamo osservato i recenti sviluppi della

“nuova” rivoluzione scientifica hanno contribuito a

creare un nuovo paradigma che, per quanto riguarda

la bioeconomia, raggiunge la sua massima espressione

nell’opera di Georgescu-Roegen. Nuovo paradigma,

quindi, con passaggio da un’economia basata

sul modello meccanicistico della fisica classica

newtoniana e della filosofia cartesiana a una nuova

visione della realtà. Una nuova impostazione, che

colpisce alla radice i fondamenti dell’economia

standard, ma che finora non ha avuto il successo che

avrebbe meritato. L’economia neoclassica continua

a mantenere le posizioni di preminenza, nonostante

numerose crepe siano state aperte nel suo edificio e

nonostante la realtà storica dimostri la netta insufficienza

dello schema economico standard.

Perché la bioeconomia ha incontrato e continua

ad incontrare tante difficoltà per la sua affermazione?

Riteniamo che la causa di ciò sia attribuibile in

gran parte alla forza d’inerzia che si avverte riguardo

alle teorie economiche in genere e soprattutto riguardo

ai paradigmi economici. È stato affermato, a

nostro avviso non a torto, che quando un’idea penetra

in un libro di testo diventa pressoché immortale,

e questo riteniamo che sia anche il caso

dell’economia standard e dei relativi modelli che si

riferiscono all’economia dell’ambiente. Sovente si

ha a che fare con una sorta di pigrizia mentale, per

cui risulta difficile uscire da schemi e modelli che ci

si è abituati a seguire magari fin dai primi studi accademici.

Inoltre, molti si rendono conto che

l’accettazione di un nuovo paradigma economico

potrebbe in certi casi complicare la vita sul piano

professionale. Consulenti governativi che seguono

determinati indirizzi, docenti inseriti nel mondo accademico,

che fanno parte di determinate scuole e

che, come tali, sono tenuti in un certo senso, ad una

sorta di disciplina di gruppo, avvertono, per le loro

carriere, la pericolosità di repentini cambiamenti.

C’è ancora un altro motivo che contribuisce a

mantenere ancora in vita certi paradigmi meccanicistici,

un motivo che potremmo definire interno al

modello. Il paradigma dell’economia standard porta

ad attribuire una particolare importanza ai concetti

aritmomorfici, quelli tipici, ad esempio, delle scienze

esatte ma che consistono comunque in dati ed assunzioni

ben precisi specie per quanto riguarda il

numero, il peso, l’estensione, ecc. I concetti dialettici,

che invece vengono in evidenza nella bioeconomia,

sono concetti sfumati in cui si passa da una

definizione ad un’altra per gradi, sovente impercettibili.

Ecco, ora, che il maneggiare tali concetti richiede

uno sforzo di indagine certamente maggiore

e conduce a risultati che, per quanto possano essere

ritenuti validi, si presentano comunque in una forma,

per così dire, problematica.

Un altro elemento può forse contribuire a creare

qualche perplessità in coloro che non vogliono guardare

in faccia la realtà, preferendo accettare schemi

e modelli improntati a posizioni ottimistiche, anche

se queste poi risultano in definitiva irrealistiche.

Risulta in tutto e per tutto evidente che

l’impostazione di Georgescu-Roegen e della bioeconomia

ci mettono di fronte ad una realtà che, per

certi aspetti, risulta tutt’altro che confortante. La

bioeconomia ci dice che la terra su cui viviamo ha

dei limiti ben precisi, che la razza umana, se vuole

sopravvivere, deve adeguare il suo comportamento

alle esigenze del pianeta, evitando modi di vivere

irrazionali e stravaganti, che sono in netto contrasto

con i limiti biofisici della terra e con la seconda legge

della termodinamica.

La seconda legge, appunto. È questo un aspetto

nodale di tutta l’impostazione bioeconomica. Tale

legge ci dice che l’energia si degrada irrimediabilmente

da energia utilizzabile a energia non più utilizzabile.

Il quadro è completato da quella che Georgescu-

Roegen definisce come la quarta legge della

termodinamica, un principio individuato

dall’Autore, secondo cui non solo l’energia ma anche

la materia si degrada. Ora, si è discusso a lungo

se tal enunciato possa, per così dire, essere elevato

al rango di legge scientifica. I fisici, in genere, non

si sono mostrati entusiasti nel considerare

l’asserzione di Georgescu-Roegen come una possibile

quarta legge della termodinamica. In ogni caso,

si possa o non si possa parlare di una quarta legge

della termodinamica, il problema che pone l’Autore

è un problema reale. Oltre all’energia anche la materia

si degrada: il riciclaggio completo non è possibile,

anche ammesso che si disponga d’energia a

sufficienza. Gli elementi di cui l’uomo può avvalersi

subiscono un’usura progressiva per cui, anche il

voler mantenere uno stato stazionario, potrebbe risultare

un’utopia. Il poter continuare a coltivare due

spighe di grano dove ne nascevano altrettante sarebbe

già un miracolo.

Che sia accettabile o meno la cosiddetta quarta

legge della termodinamica, il problema che ci sta

davanti è comunque un problema da cui non si può

prescindere, al di là di meri nominalismi. Anche

senza volere addentrarci in questa sede in discussioni

che ci porterebbero troppo lontano, ci sembra opportuno

ricordare quanto ci dichiarò una volta Georgescu-

Roegen nel corso di una conversazione: Ilya

Prigogine, cui egli aveva chiesto un giudizio sulla

validità o meno, dal punto di vista della fisica,

della cosiddetta quarta legge della termodinamica,

non si era mai espresso negativamente al riguardo,

limitandosi a sospendere il giudizio.

L’impostazione di Georgescu Roegen si differenzia

notevolmente da quella di tanti assertori dello

sviluppo sostenibile: quest’ultimo concetto, per come

viene definito, si presta ad essere diretto, se non

in tutte, almeno in molte direzioni. Sia coloro che si

occupano dell’ambiente sia coloro che non se ne occupano,

in genere tutti oggi parlano di sviluppo sostenibile,

che sovente si riduce ad un’espressione

priva di significato, un’espressione con cui spesso

vengono contrabbandate le impostazioni più disparate.

Innanzi tutto ci sono i problemi della sostenibilità

debole e della sostenibilità forte, due impostazioni

che, nonostante facciano riferimento entrambe

al termine sostenibilità, come abbiamo visto hanno

ben poco in comune. Sotto questo aspetto ci sembra

alquanto ottimistica l’affermazione di Daly, secondo

cui la sostenibilità debole costituisce già un passo

in avanti rispetto alla posizione dell’economia

standard. Potremmo anche capovolgere il discorso e

affermare che una posizione, che si riduce a poco

più di un esercizio verbale, non solo non costituisce

un reale progresso ma, a ben guardare le cose, può

rappresentare anche un pericolo in quanto può dare,

in alcuni casi, l’impressione che si sia pervenuti ad

un mutamento di indirizzo mentre l’impostazione di

fondo è rimasta pressoché invariata.

Rimane da chiarire se, con il concetto di sostenibilità

forte, la questione possa considerarsi avviata a

soluzione o se anche questo concetto risulti insufficiente.

A questo proposito il discorso deve farsi articolato.

Riteniamo che, rispetto all’economia standard,

tuttora ancorata al paradigma meccanicistico,

il concetto di sostenibilità forte costituisca un grosso

passo in avanti e che, quindi, meriti la più ampia

considerazione. Resta, comunque, da vedere se esso

possa risultare ancora valido a lungo termine.

A questo riguardo occorre considerare separatamente

due aspetti. L’economia standard risulta tuttora

ancorata al dogma meccanicistico per cui si

presentano notevoli difficoltà per un cambio radicale

di indirizzo. È già difficile far accettare a certi

rappresentanti della cultura economica consolidata i

principi della sostenibilità, per cui una battaglia per

obiettivi ancora più radicali potrebbe risultare già in

partenza votata al fallimento. Il concetto di sostenibilità

forte potrebbe invece costituire un obiettivo più

concretamente perseguibile.

Un nuovo approccio per lo sviluppo futuro

Nell’esame che abbiamo compiuto all’inizio

sugli aspetti caratterizzati la rivoluzione delle

scienze, abbiamo visto come oggi sia chiaramente

emerso un nuovo paradigma scientifico che si incardina

sui concetti di complessità, sistematicità,

ecc. Comunque si voglia vedere la cosa, la vita sul

pianeta si svolge sotto il dominio di queste due

leggi della termodinamica, la seconda e la quarta.

Ora, se questo è vero, la situazione, nel lungo termine

non può certo essere definita rosea. Anche

ipotizzando i più grandi sviluppi della scienza nel

futuro, l’uomo dovrà sempre fare i conti con la seconda

legge della termodinamica per cui, contrariamente

a quanto potessero pensare anche i più

ottimisti, sarebbe comunque fuori luogo parlare

delle “magnifiche sorti e progressive”.

Nel lungo termine non possono essere ipotizzate

forme di progresso economico che portino ad

aumenti della produzione così come noi oggi li intendiamo.

Costituiscono dei limiti invalicabili: la

finitezza del pianeta terra e delle sue risorse e la

legge di entropia. Sono questi i cardini che debbono

essere tenuti presenti: è solo su questi che deve

basarsi ogni ragionamento sulle prospettive future,

sugli scenari possibili. Non si tratta tanto di essere

ottimisti o pessimisti quanto di prendere atto della

realtà quale essa si presenta.

Secondo l’impostazione di Georgescu-Roegen,

nel lungo periodo anche una situazione stazionaria

risulta di difficile attuazione per cui non si potrebbe

più parlare di sviluppo sostenibile anche in termini

di sostenibilità forte. Questa è la situazione,

di cui, piaccia o non piaccia, si dovrebbe prendere

atto.

Indubbiamente non è certo una strada facile

quella che dovrà essere percorsa. Una strada che

richiede sacrifici, che possono essere compiuti solo

a seguito di adeguate motivazioni. E quali potranno

essere queste motivazioni? Occorrerà soprattutto

una nuova etica che, nel caso specifico, dovrà

riguardare i nostri rapporti con le generazioni future,

nei confronti delle quali dovrà svilupparsi un

nuovo sentimento di affezione.

Se all’inizio – afferma Georgescu-Roegen – fu

detto: “non uccidere” e poi “ama il prossimo tuo

come te stesso”, il nuovo comandamento dovrà essere

“ama le generazioni future come te stesso”.

Questo è un imperativo categorico dal quale non si

può prescindere. Un imperativo che risulterà tanto

più attuabile quanto più si cercherà in ogni modo

di instillare in tutti, specie nelle nuove generazioni,

questo nuovo tipo di cultura.

L’ultimo anello della catena, che, come abbiamo

osservato, comporta una serie di passaggi logici,

consiste dunque nel cercare di creare una nuova

mentalità, un nuovo approccio ai problemi

dell’ecologia.

A tale scopo sarà necessaria un’opera di educazione

e di diffusione della cultura ambientale.

L’homo oecologicus sarà formato nella famiglia,

educato nella scuola e completato nell’impegno

svolto nelle associazioni ambientalistiche.

Se l’ecologia costituisce una dimensione globale

della vita (oikos, la casa di tutti) è evidente che

la soluzione dei problemi, che essa comporta, non

potrà che essere trovata in un approccio globale,

approccio nel quale l’elemento dell’educazione riveste

un ruolo fondamentale.

Romano Molesti

Romano Molesti è professore ordinario di Storia

del Pensiero Economico nell’Università di Verona

e Presidente dell’ANEAT, Associazione Nazionale

degli Economisti dell’Ambiente e del Territorio

NOTE

1) N. GEORGESCU-ROEGEN, Demain la Dècroissance,

Lausanne, 1979, p. 18.

2) N. GEORGESCU-ROEGEN, L’Energie et les Mithes

Economiques, in Demain la Décroissance, cit.

3) N. GEORGESCU-ROEGEN, La legge di entropia e il

problema economico, in Analisi economica e processo

economico, Sansoni, Firenze 1973, p. 278.

4) N. GEORGESCU-ROEGEN, Lo stato stazionario e la

salvezza ecologica: un’analisi termodinamica, in “Economia

e ambiente”, n. 1, 1984, p. 15.

Nessun commento:

Posta un commento