Costruire sul costruito
Una proposta per risanare energeticamente le preesistenze architettoniche senza costi per i proprietari
di Stefano Fattor
Secondo le stime dell’Unione Europea, il 42% dei consumi energetici del continente è rappresentato dalla gestione termica degli edifici residenziali e del terziario, cioè di gran lunga la voce di consumo più significativa. Ciò crea un paradosso: se vivessimo nelle caverne, ma con gli ospedali, le industrie, le autostrade e gli aeroporti, i problemi energetici e ambientali sarebbero risolti. I dati del ministero dello Sviluppo Economico indicano che quasi il 90% del patrimonio edilizio italiano ha un fabbisogno energetico di circa 220 kWh/m2a, ovvero consuma ogni anno circa 22 litri di gasolio per metro quadro abitato. Si tratta di una quantità pazzesca di energia dissipata, il vero “buco nero” del sistema energetico nazionale. La direttiva europea 91/2002 punta a ridurre proprio questo consumo, con risparmi stimati nell’ordine di 60 miliardi di euro e di 70 Mtep (tonnellate di petrolio equivalente), oltre alla creazione di quasi 300.000 nuovi posti lavoro.
Riqualificare l’esistente
Se si vuole incidere realmente sui consumi energetici bisogna pensare di ridurre innanzi tutto i consumi termici delle preesistenze architettoniche. Anche prescindendo dalla ‘brutta’ normativa italiana in materia, il problema non è certamente tecnico (come fare a risanarle?) anche se l’accademia italiana pochissimo si occupa di queste cose al contrario di ciò che avviene oltralpe; il problema è soprattutto economico (come finanziare gli interventi?).
La caratteristica dell’edificio-tipo che necessita di un recupero di efficienza energetica è il condominio con decine di alloggi, costruito durante il boom economico e nei successivi 20-25 anni. Questa tipologia edilizia è caratterizzata da una proprietà frammentata economicamente, socialmente e anagraficamente (quindi con aspettative di vita e prospettive assai diverse), per la quale qualsiasi intervento che imponga un accordo su spese con tempi di ammortamento di 7-10 anni risulta pressoché impossibile.
La politica degli incentivi
Nel panorama europeo le strade da percorrere sono tradizionalmente tre, escludendo oramai del tutto il contributo in conto capitale, per mancanza di fondi pubblici. La prima passa attraverso l’incentivazione delle ESCO (Energy Service Company) e delle relative attività di contracting, società private che si offrono di risanare gli edifici a loro totale o parziale spesa in cambio dei benefici economici, per un determinato periodo, derivanti dalla maggiore efficienza energetica dell’edificio. C’è poi la strada degli incentivi fiscali: l’Italia con la Finanziaria 2007 ha ideato un ottimo congegno fiscale, basato su sgravi IRPEF del 55%, applicato però ad obiettivi prestazionali degli edifici assai inadeguati. Queste misure hanno il difetto di non essere per tutti. Si possono offrire tutti gli sgravi possibili, ma per una pensionata di 80 anni spendere 5.000 euro per la sua quota di cappotto termico con un tempo d’ammortamento di 8 anni è sempre troppo.
Risanamento a costo zero
C’è però una possibilità di incentivazione a livello locale che sta iniziando ad affermarsi soprattutto nei paesi scandinavi, che interpreta in maniera originale e mirata al risparmio energetico il concetto di perequazione urbanistica. L’obiettivo è uno: finanziare a costo zero i risanamenti energetici. L’approccio è quello di consentire l’innalzamento di un piano (o la costruzione di una quota determinata di cubatura) da mettere sul mercato a fronte del totale reinvestimento di quanto introitato a favore della parte preesistente e all’interno di elenchi definiti di interventi ammessi e di interventi obbligatori (cappotto termico, sostituzione finestre ecc.) volti a risanare energeticamente l’edificio interessato. In questo senso si è vista l’attivazione non tanto direttamente dei privati, bensì di imprese edili, cooperative di artigiani, società con nuove specializzazioni, che hanno sviluppato le formule più convenienti di contracting da proporre ai singoli condomini. Paesi come la Svezia, dove le tecniche di costruzione a secco, assai più leggere della tradizionale in muratura, rappresentano oramai il 60% dei nuovi interventi, sono da questo punto di vista avvantaggiati. Nascono soluzioni esteticamente accattivanti e, nel caso dei brutti edifici anni ’60, edificati nelle cinture urbane, certamente migliorative e sostitutive di tanti interventi che in Italia invece le varie normative locali hanno consentito sui sottotetti.
I vantaggi del costruire sul costruito
Si potrebbero ottenere diversi benefici: fornire una risposta alla richiesta di nuovi alloggi a prezzi più contenuti (il costo del terreno incide in maniera praticamente discrezionale), contenere i costi energetici dell’ambito più energivoro delle attività umane, risparmiare suolo e verde pubblico. Inoltre, si darebbe impulso a tecniche costruttive a secco di minore impatto energetico di quelle tradizionali e, come detto, i risanamenti sarebbero a costo zero per i proprietari della preesistenza. E si darebbe lavoro agli operatori del settore edile almeno per una generazione. Ma, soprattutto, si garantirebbe un risparmio a tanti e per sempre, contro il tradizionale beneficio una tantum e per pochi, che ha sempre caratterizzato il mercato edilizio.
Può funzionare in italia?
Adattare il modello al nostro Paese richiederebbe qualche correttivo. Visto l’amore nazionale per l’automobile, si dovrebbe forse legare la cessione delle cubature ai soli detentori di garage o pensando di delocalizzare parcheggi comuni; ma si tratta di questioni secondarie. Affascina invece l’ipotesi di rendere efficiente il parco edificato più obsoleto dell’Europa industrializzata alzando di un piano le proprie città. Un sogno? In fondo c’è un illustre precedente storico: Jules-Harduin Mansart nel ’700 alzò Parigi di due piani per dare, su ordine del re, una risposta alla tensione abitativa che affliggeva la città. Nacquero in questo modo le mansarde.
Citando Francis Picabia: “La testa è rotonda per permettere alle idee di uscire in tutte le direzioni”. E per problemi nuovi come i cambiamenti climatici e la crisi energetica bisogna avere una testa rotondissima ricorrendo a strumenti tecnici, urbanistici, normativi diversi perché quelli tradizionali non sono più sufficienti.
Un ritorno del 13%
Paesi come la Danimarca stanno orientando gran parte della loro strategia energetica sul risanamento delle preesistenze architettoniche. Al contrario dell’Italia, che ha recepito la Direttiva 91/2002 con i pessimi decreti 192 e 311 che impongono di fatto i valori di isolamento più bassi d’Europa. I conti danesi sono presto fatti e particolarmente interessanti, poiché si tratta dell’unico stato europeo a richiedere la certificazione energetica di tutti gli edifici e non solo per quelli di nuova costruzione o nel caso di ristrutturazioni: 170.000 sono gli alloggi certificati con 25 milioni di euro di spesa, le migliorie sono valutate in 125 milioni e si prevedono risparmi energetici per 20 milioni di euro. In altri termini, un ritorno degli investimenti del 13%. Quasi come i bond argentini, ma molto più sicuri.
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