di Gaetano Cappelli
Vita sociale in Basilicata prima del petrolio. Quanti anni saranno passati da quella sera? Dieci, ma forse quasi vent’anni. Eravamo giovani, questo me lo ricordo bene, e ce ne stavamo seduti al solito ristorante del sabato secondo l’uso meridionale: uomini da una parte, donne dall’altra; s’era iniziato a dividerci per gioco, poi sarebbe diventata un’onesta abitudine essendo le chiacchiere degli uomini diverse dalle chiacchiere delle donne. Ma, quella sera, l’argomento era e non poteva che esser uno: in Basilicata avevano appena scoperto il petrolio e noi, nel nostro fondo di provincia, ci sentivamo improvvisamente al centro della nazione, dell’Europa, del mondo!
Lucania Saudita. Come ci ripetevamo entusiasti, si trattava del giacimento più immenso d’Europa. Grosse grasse somme di danaro, sotto forma di royalties, ci avrebbero reso, noi basilischi, i più poveri tra i poveri terroni, ricchi come arabi e non più bisognosi di sovvenzioni ma al contrario pronti a dispensarne; né più saremmo emigrati ma casomai avremmo ora aperto noi le porte della Lucania Saudita ai bisognosi. Quella sera, una ragguardevole quantità di Aglianico aveva riempito i nostri bicchieri e ce ne tornammo a casa pieni di sogni e desideri anche se poi nessuno tra noi si arricchì col petrolio; nessuno proprio in generale, se è per questo, visto che i lucani sono oggi più poveri.
Controsenso karmico. Circa centomila barili di greggio vengono estratti ogni giorno dal nostro fondo di provincia. Sì, non s’è prodotta una grande occupazione — richiedendo gli impianti pochi addetti — e fissare le royalties a un misero 7 per cento non è stato il grande affare che si credeva ma lo stesso nelle casse della Regione s’è creato quel gettito di centinaia di milioni di euro che avrebbe dovuto incentivare nuove attività e imprese. Invece, secondo l’ultimo recentissimo rapporto Istat, i lucani occupano il posto d’onore sul podio dei poveri d’Italia insieme ai siciliani.
Ma com’è mai possibile visto che oltretutto siamo quattro gatti — seicentomila, meno di un quartiere di Roma — e possediamo ogni pensabile risorsa? Il petrolio certo, ma anche acqua talmente buona che è venuta a comprarsela la Coca-Cola, e il sontuoso Aglianico; e peperoni di Senise, fagioli di Sarconi nonché il meraviglioso pecorino di Moliterno — diffidate dell’imitazione sarda, prego! — e spiagge, come si dice, incontaminate, e Maratea, uno-dei-dieci- facciamo-trenta-più-bei-posti-del-mondo? Come si spiega allora, eh?, come si spiega che continuiamo a esser poveri, anzi che diventiamo sempre più poveri?
Scarso senso degli affari, ancora più scarsa capacità progettuale, si dirà: visto che una buona parte delle royalties destinate alle nuove imprese rimangono inutilizzate. Strano però che i lucani, appena fuori dai confini regionali, si trasformino in fior fior di imprenditori. Ma non sarà, per caso, una maledizione?
Ricco come un texano. Così qualcuno potrebbe esser tentato di rivolgersi a una delle nostre celebri masciare come, negli anni Sessanta, fece il latifondista Michelantonio dell’Arco, il quale fiutando che il metano, allora scoperto, invece di renderlo ricco come un texano, sarebbe stata la causa stessa dell’espropriazione delle sue amate terre, si rivolse alla potente strega Lia la Bavosa. Lia gli s’inginocchiò davanti, gli denudò i piedi e dopo aver fatto un bolo di saliva... be’, lasciamo perdere. Fatto sta che da miserabile Re del Gas lo tramutò in ricco Re della Gassosa; noi, da Sovrani del Parco Energetico, potremmo chiederle di farci tornare a esser gli arcadici Sovrani dei Parchi Naturali secondo la vecchia freddura: «Scusi lei è lucano?», «No lu cano è là sotto. Io so’ lu pastore!». Ma chi, oggi, si sottoporrebbe al terribile rituale della Bavosa? No, signori, indietro non si torna. Rimbocchiamoci le maniche piuttosto. D’altra parte siamo in tempo: ci sono ancora ben 465 milioni di barili da estrarre, per un valore astronomico di 50 miliardi di dollari con la conseguente magnifica percentuale in royalties che ci spetta — davvero un gran pacco di soldi! E per una volta che la fortuna ci arride, be’ cerchiamo di meritarcela.
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