lunedì 19 novembre 2007
Una nuova energia rinnovabile: Geotermia di terza generazione
Geotermia di terza generazione
Si può produrre energia dal sottosuolo senza prelevare tonnellate di greggio?Si può si può e l'ho scoperto tramite il lavoro di un bravo giornalista che si chiama Giuseppe Caravita e lavora al Sole 24 ore per l’inserto Nova sulle nuove tecnologie
ecco un suo articolo:
Bolle di calore dal profondo
Di solito leggiamo la cartina d’Italia per
le sue strade, città, coste e montagne, e
bellezze naturali. Raramente, però, si va un
po’più in profondo.Ma allora si scoprirebbe
che l’Italia è una penisola ricchissima di fenomeni
geologici, siano essi vulcani (ben di
più dei soli Etna,Vesuvio e Stromboli), caldere
(antichi crateri spenti), estesi giacimenti
di calore, in molti casi quasi affioranti.
Ben lo sanno scienziati e ricercatori. Come
Michael Marani dell’Ismar di Bologna
che nel 1994 guidò un’estesa campagna di
rilevazioni in tutto il Tirreno, studiando (con
sonar e telecamera montate su nave) la sua
grande corona di vulcanisottomarini (Marsili,
Glauco, Sisifo, Enarete, Eolo, Lamentini,
Alcione, Palinuro, Vavilov) che completano
l’arco delle Eolie. «Una zona straordinaria,
dal punto geologico e vulcanologico – spiega
Marani – qui la crosta terrestre è più sottile,
perché sotto si inabissa la piattaforma ionica,
molto vecchia e pesante, sospinta dalla
grande zolla africana.
E inabissandosi brucia, emettendo bolle
di magma che risalgono insuperficie, creando l’arco
vulcanico delle Eolie e degli altri vulcani
sottomarini».
Risultato: un immenso campo di calore
geologico, grande più del Lazio che
Bruno della Vedova, geologo dell’Università
di Trieste, da anni studia e censisce
nelle sue mappe basate sul flusso di calore
superficiale (Heat flow) che la terra
emette. «La penisola italiana e i suoi mari
è caratterizzata da almeno quattro grandi
aree di calore sotterraneo – spiega della
Vedova – la prima è la Toscana, con i suoi
famosi campi geotermici di Larderello
ma che si estende fino alla caldera di Bolsena
e poi inmare per diversi chilometri.
La seconda, ancora ben nota, è quella dei
campi flegrei. La terza, molto grande (e
ancora in parte poco conosciuta) è quella
del Tirrenomeridionale.
E infine il canale di Sicilia, nell’area del
vulcano sommerso Empedocle (un suo cratere
è l’isola Ferdinandea, affiorante nel 1920e oggi a 5 metridi profondità) e di Lampedusa
». Sommati assieme migliaia e migliaia
di gigawatt termici potenziali, dato che
le anomalie del flusso di calore superficiale
(sulla media basale) «sono un’indizio forte
di probabilità che a solo un migliaio di metri
sotto – dice della Vedova – si trovino rocce
calde a 100 gradi e oltre».
E, in effetti, la campagna di surdi dell’Ismar-
Cnr ha confermato, in almenoi suoi
due casi maggiori, questo calore. «Sia sulla
cresta del Marsili che del Palinuro,due vulcani
allungati lunghi decine di chilometri, comegrandi
ferite della crosta, abbiamo osservatodei
camini idrotermali. Il Marsili risulta
anche geologicamente attivo, mentre il Palinuro,
con la sua grande piattaforma che sale
apochedecine dimetri sotto la superficie del
mare, è più tranquillomaanch’esso caldo».
E ancora di più intorno alle Eolie. «Un
esempio: immediatamente fuori dell’isola
di Panarea c’è, a un’ottantinadimetri di profondità,
una caldera che nel 2002 ha eruttato
quantità notevoli diCO2 vulcanica – osserva
della Vedova – là le nostre rilevazioni ci
dicono chela probabilità di rocce calde oltre i
100 gradi a poche centinaia dimetri di profondità
è quasi una certezza».
E non solo inmare. Secondo Giannelli,
direttore dell’Istituto di Geotermia del
Cnr di Pisa, le aree onshore, oltre Larderello
(unmiracolo della natura, dove l’acqua
si sposa al calore sotterraneo) comeAmiata,
Bolsena e Flegrei valgono circa un gigawatt
di ulteriore potenza elettrica producibile.
«Maquello che c’è nel Tirreno e nel
canale di Sicilia va ben oltre, almeno su
un piano teorico», osserva AdeleManzella,
ricercatrice dell’istituto pisano.
«Il problema è sviluppare una tecnologia
geotermica di nuova generazione, capace di
sfruttare questa risorsa potenziale».
Il calore della terra, in grandi quantità.
Ma finora inafferrabile. «Sono vent’anni
che si tenta, dagli Usa al Giappone, di riprodurre
artificialmente situazioni idrogeotermichenaturali
come Larderello, immettendo
acqua a pressione negli strati
caldi profondi, fratturando le rocce (spesso
con micro-terremoti) per creare laghi
caldi profondi da cui estrarre vapore.
Ma questa geotermia di seconda generazione,
detta Hot dry rocks, finora non
ha dato risultati industriali apprezzabili –
spiega Giorgio Santucci, promotore
dell’Egs Association, un network di esperti
di una dozzina di università italiane che
da anni studia tecnologie geotermiche di
frontiera – per attaccare il problema
dell’estrazione del calore "secco" profondo
sarà necessaria una geotermia di terza
generazione, ancora da inventare».
Un dato è però certo. L’Italia geotermicamente"
calda", onshore e soprattutto offshore,
haunpotenziale talmente vastodagiustificare
una scommessa tecnologica e di ricerca
unica al mondo. «In ballo c’è una fonte
energetica continua e praticamente eterna –
conclude Della Vedova – che potrebbe fruttarci
una buona fetta di indipendenza energetica
e di abbattimento dei gas serra».
E forse, anche di più, forse un Made in
Italy geotermico avanzato esportabile negli
altrienormigiacimentidicalorechecostellano
il pianeta. In Africa, Asia, America Latina.
Sotto i paesi ricchi come quelli poveri. Il
calore della Madre, infatti, non si cura dei
redditi. (g.ca)
giuseppe.caravita@ilsole24ore.com
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