lunedì 13 settembre 2010

L'antropentropia

Riporto e condivido totalmente:
I più bravi in termodinamica sanno che l'entropia è una funzione di stato del sistema che misura il grado di disordine del sistema stesso. Sempre secondo la termodinamica l'entropia totale dell'universo è in continuo aumento, cioè il disordine cresce sempre.
Analogamente (il termine richiama quindi il disordine provocato dalla presenza umana) possiamo definire l'antropentropia in modo molto semplice come:



A = S * N

dove S è la superficie umana e N il numero di uomini.
S è la superficie che compete a ogni uomo come suo
spazio vitale e che ha sottratto alla natura: la casa dove abita, le strade, le strutture (luoghi di lavoro, luoghi ricreativi, scuole, ospedali ecc.). Si tratta della quota individuale che abbiamo tolto alla Terra. Tale quota cresce continuamente con il progresso. L'ipotesi del cemento si basa su di essa: se ognuno di noi avesse a disposizione un terreno di SOLI (incredibile, ma vero!) settanta metri per settanta, ogni metro della penisola sarebbe urbanizzato.
Se nel Terzo Mondo si vive ancora in dieci in una capanna di 30 mq, oggi il sogno di ognuno di noi è di espandersi. Parlo spesso con ambientalisti che hanno una b
ella e ampia villa. Ebbene, costoro non si rendono conto che se ognuno di noi (aspirazione legittima) portasse via alla natura la fetta che loro hanno preso, della natura resterebbe ben poco. Ovvio che con il progresso sociale, se non cambia la sensibilità sull'antropentropia, S continuerà ad aumentare.
Purtroppo anche N continua ad aumentare, in maniera veramente impressionante, soprattutto perché nessun governo è interessato a una politica di controllo demografico.
In sostanza


dalla preistoria l'antropentropia continua ad aumentare


quindi:


che senso ha preoccuparsi di salvare una pianta, una specie animale, quando un banale calcolo dell'aumento dell'antropentropia ci dice che fra X secoli la natura sarà estinta?

L'ambientalista che non si fa carico di rispondere a questa domanda, fa spallucce ed è contento di fare quello che si può, tanto fra X secoli lui non ci sarà più (se non risponde concretamente alla domanda questa è la motivazione inconscia del suo falso attivismo), non può poi indignarsi se si sente rispondere: ma che mi importa se fra 50 anni l'effetto serra farà disastri, fra 50 anni io non ci sarò più!
Che i secoli siano uno, due o dieci il discorso non cambia:


se la politica ambientale non fissa un limite all'antropentropia, di natura potrà esistere solo quella artificiale.

Ovviamente il limite non deve essere temporaneo (come i periodici piani regolatori che non fanno altro che differire l'agonia naturale), ma assoluto. Se per esempio in Italia il limite attuale è S=200 (in mq; è solo una stima che tiene conto delle strutture private e di quelle pubbliche) e N=60 milioni, A varrebbe 1,2*1010 una politica seria potrebbe portare il valore da 1,2 a 1,5 (ma potrebbe anche scendere a 1!), ma non per 5 o 10 anni. Per sempre!
Solo studiando l'antropentropia e fissando limiti assoluti non trattabili, localmente e globalmente, si potranno ottenere risultati concreti. Altrimenti, tanto vale depredare la natura delle poche risorse che ancora ha.